L'uomo e il suo destino
Castelvecchi, 204 pp., 18,50 euro
A un uomo di scienza è difficile far digerire parole come quelle che Dio disse a Giobbe, secondo uno dei più lunghi, complessi e misteriosi passi dell’Antico Testamento. La risposta, di solito, è che trattasi di favole, di storielle buone per fare sogni d’oro. Una sorta di camomilla per l’anima in tumulto che si domanda – sempre meno, a dire il vero – se c’è qualcosa (e se sì, cosa) dopo la fine naturale della vita. Questioni che dall’antichità angosciarono generazioni di uomini, tra i quali molti sul tema composero pagine tra le più belle che siano mai state scritte. Allegorie, insomma, dice chi non ci crede e ripone la propria fede sulla tavola periodica degli elementi: Giobbe sì, ma anche Cristo, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Lazzaro che si alza e cammina, la Resurrezione. Lasciando stare Immanuel Kant, la sua Critica della ragion pura e l’epitaffio fatto da lui scolpire sulla sua lapide – “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me” – si potrebbe menzionare san Tommaso d’Aquino, secondo cui “pensiero e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve a pianificare alcuni enigmi della fede, anche se l’intelletto umano è limitato”. Lo scopo della fede e della ragione – aggiungeva “è lo stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la fede deve cedere a questa”. Ma forse più utile è prendere in mano quanto scriveva in pieno Novecento Pierre Lecomte du Noüy, il grande fisico francese a giudizio del quale proprio nei quanti e nella razionalità più pura si trova la prova dell’esistenza di Dio. Attraverso la storia dell’evoluzione dell’essere umano, scriveva Du Noüy, si giunge a una constatazione inevitabile: Dio esiste, e a dirlo è proprio la scienza”. In un secolo, non ci si può aspettare di vedere più di una o due volte un libro di una tale profondità e intelligenza”, commentava sbalordito il premio Nobel per la Fisica del 1923, Robert A. Millikan. Du Noüy non fa affidamento su sensazioni o cieca fede nel trascendente. Si basa sull’esperienza, sulla constatazione razionale. E’ la stessa visione logica della natura a condurre a Dio, scrive: “Lo scopo di questo libro è di esaminare criticamente il capitale scientifico accumulato dall’uomo e di trarne conseguenze logiche e razionali. Vedremo che queste conseguenze conducono inevitabilmente all’idea di Dio”.
Rileva che le spiegazioni esclusivamente materialistiche dell’Universo – per le quali prova una sana repulsione – non riescono a dare ragione di tutta la complessa ricchezza dell’essere umano. Ma il fisico non è uno sciocco, sa che non basta passare dall’Homo herectus all’uomo di oggi per dire che sì, non deriva tutto dallo scontro di molecole e dal Big Bang, e che c’è qualcosa di ultimo e indescrivibile che neppure Dante riuscì nella sua immaginazione sconfinata a rappresentare. “Non possiamo aspettarci, oggi, di distruggere l’ateismo usando gli argomenti sentimentali e tradizionali che potevano commuovere le masse ignoranti del passato. Non possiamo combattere i carri armati con la cavalleria o gli aerei con gli archi e le frecce. La scienza – dice lo scienziato – è stata usata per demolire le basi della religione: la scienza deve essere usata per consolidarle”. Premessa: Lecomte du Noüy non si rivolge ai credenti convinti, bensì a quanti hanno sentito “sorgere un dubbio” nella loro anima. Frase autobiografica, verrebbe da dire. Lui che, morendo nel 1947, confessò che la sua gioia più grande sarebbe stata quella di veder emancipati dall’ateismo gli scienziati, per “menarli a Dio”. La conclusione cui perviene lo scienziato è di illuminante chiarezza: “L’agnostico e l’ateo non sembrano minimamente disturbati dal fatto che tutto il nostro Universo, vivente, organizzato, diventa incomprensibile senza l’ipotesi di Dio”.
L’UOMO E IL SUO DESTINO
Pierre Lecomte du Noüy
Castelvecchi, 204 pp., 18,50 euro