Lettere dal fronte

Redazione
Renato Serra
Elliot, 96 pp., 9,50 euro

    Cara mamma, un saluto in fretta anche stamattina, alzati all’alba. Niente di nuovo: le solite vicende di temporale e di sole, e lo spettacolo di un’azione che si intravede e si sente rumoreggiare sui monti circostanti. Noi sempre al nostro posto, con molte faccende dei servizi di seconda linea”. Non poteva immaginare, il cesenate Renato Serra, che questa del 20 luglio 1915 sarebbe stata l’ultima lettera inviata alla madre. Qualche ora più tardi sarebbe caduto in quella che è passata alla storia come la Seconda battaglia dell’Isonzo, sul monte Podgora (monte Calvario, in italiano), collina non distante da Gorizia, allora città austriaca. Non aveva neppure compiuto trentuno anni, e già il suo era un nome noto. Maturità classica a 16 anni senza dare esami grazie ai suoi voti altissimi, allievo di Giosuè Carducci all’Università di Bologna, collabora con il variegato mondo della Voce, dove entra in contatto con Prezzolini, Panzini, De Robertis e Papini. In questi anni, dà vita a una proficua corrispondenza epistolare con Benedetto Croce, cui si rivolge con il deferente e ossequioso “obbligatissimo”. Precoce critico letterario – Gianfranco Contini vide nel giovane Serra una sorta d’anticipatore della critica stilistica – fu una cocente delusione d’amore a cambiarne perfino il modo di pensare. Passato repentinamente dall’illusione alla delusione, decise di arruolarsi volontario e di partire per la guerra contro gli imperi centrali. Non stava bene, era uscito malconcio da un incidente automobilistico e doveva ancora smaltire la fatica per aver dato alle stampe, poche settimane prima, “Esame di coscienza di un letterato”. Arriva al fronte ai primi di luglio, morirà neppure due settimane dopo. L’ultima lettera è emblematica, e nell’Introduzione al volume Massimo Onofri spiega che “se la riporto tutta è per il fatto che certifica un’ordinaria giornata al fronte di Serra, tutto impegnato qui a sottolineare l’ordinarietà, non soltanto per tranquillizzare l’anziana madre visto che, anche con gli amici più cari o coi parenti coetanei, l’atteggiamento non cambia”. E anche la partenza per la guerra, dopotutto, per lui era semplice ordinarietà. Non c’è mai, nelle sue lettere, un cedimento alla retorica presente in tanti suoi contemporanei. Andare a combattere il nemico per compiere il Risorgimento, insomma, faceva parte di quel destino ineluttabile che contraddistingueva quelli della sua generazione. Ordinarietà che emerge anche nella lettera spedita alla cugina Tina Ceccaroni, il 9 luglio: “Ombra e acqua, campagna e cielo, mangiare e dormire, ecco tutte le nostre preoccupazioni in questa vita molto e semplice”.

     

    Quasi uno scenario bucolico, se non fosse che era lì che si combatteva in trincea per conquistare quel metro di terra perso il giorno prima. Serra è come in un’altra dimensione, riflette sulle donne di San Vito al Tagliamento, paese oggi a cavallo tra il Friuli e il Veneto, terra di “pianure piatte, dove l’aria e la luce è sempre ferma; o sotto il velo dell’umidore fumante e un po’ guasto; o piena di splendore afoso” e dove “tutti sono in mano dei preti”. L’8 aprile aveva raccontato all’amico Papini la partenza per le retrovie: “Viaggio militare, ripresa di servizio improvvisa, e queste giornate; la sveglia alle 6, la truppa rientra dall’istruzione principale alle quattro e tre quarti. Oggi ho chiesto un permesso, il primo; da mezzogiorno alle cinque”. Un permesso chiesto non per svago, ma per completare un articolo per la Voce: “Ma non m’è riuscito di terminare. Ma in nome di Dio, se il mio articolo vi fa comodo, perché non aspettate ancora un poco? Anche se il fasc. della V. dovesse uscire con due giorni di ritardo; capita a tante riviste!”. 

     

    LETTERE DAL FRONTE
    Renato Serra
    Elliot, 96 pp., 9,50 euro