Sette anni di felicità
Feltrinelli, 176 pp., 14 euro
Nell’estate del 2009 un giornale svedese, l’Aftonbladet, pubblicò un articolo in cui sosteneva che i soldati israeliani rapivano i giovani palestinesi per espiantare i loro organi. Il governo israeliano chiese al primo ministro svedese di scusarsi pubblicamente. In nome della libertà di stampa, gli svedesi rifiutarono e “Israele reagì immediatamente con l’arma non convenzionale che tiene di riserva per i conflitti di questa grandezza: un boicottaggio dell’Ikea da parte dei consumatori”. Etgar Keret, scrittore israeliano di origini polacche, figlio di genitori sopravvissuti all’Olocausto, in quei giorni era in Svezia, alla Fiera del libro di Gothenburg, dove i lettori lo ringraziarono per le sue storie ma erano anche ben attenti a tenere gli occhi aperti mentre autografava i libri “per essere sicuri che non approfittasse della situazione per fregargli un rene o due”.
Questo episodio è raccontato da Keret nel suo ultimo romanzo che descrive la storia degli ultimi sette anni della sua vita: dalla nascita del figlio Lev, durante un attacco terroristico a Tel Aviv, alla malattia e alla morte del padre.
I trentasei racconti di “Sette anni di felicità” sono storie a sé, ma i sette capitoli di cui fanno parte, uno per ogni anno, sono tenuti insieme dalle emozioni: dalla paura per la nascita del figlio durante una guerra al senso di perdita per la morte del padre e, accanto a ogni cosa, l’amore per la moglie, Shira Gefen, con cui, nel 2007 ha vinto il premio “Caméra d’Or” a Cannes per “Jellyfish”. Dalle storie di Edgar Keret, che oggi insegna alla Facoltà di Cinema e Televisione dell’Università di Tel Aviv, sono stati tratti più di quaranta cortometraggi e anche quest’ultimo romanzo ha il ritmo veloce di una sceneggiatura. Lo scrittore rivela il lato buono di ogni esperienza e, anche nei momenti più drammatici, le sue parole sono leggere e trasmettono un grande amore per la vita (“da qualche parte ci sarà sempre un uomo diverso, un uomo che guarda lontano”).
Nel racconto “Sfida nei campi dai gioco”, Keret, Ha Abba – il padre, come lo chiamano i frequentatori di Ezekiel Park – si rilassa parlando con le mamme di allattamento e pannolini perché “da ebreo stressato che considera la propria momentanea sopravvivenza eccezionale, e non una cosa da nulla, e i cui allarmi giornalieri di Google sono confinati all’esiguo territorio tra ‘lo sviluppo nucleare iraniano’ e il ‘genocidio ebraico’, non c’è nulla di più godibile di qualche ora tranquilla passata a discutere di poppatoi sterilizzati con sapone organico e delle chiazze rosse sul culetto del bebé”. Si può ridere di tutto, ma bisogna saperlo fare. Edgar Keret lo fa con stile.
SETTE ANNI DI FELICITA'
Etgar Keret
Feltrinelli, 176 pp., 14 euro