Due anni sull'oceano
Castelvecchi, 334 pp., 22 euro
Senza Richard Henry Dana non ci sarebbe stato Herman Melville, e quindi neppure il capolavoro Moby Dick. Due anni in mezzo al mare, e che mare! Gli oceani, l’Atlantico prima, il Pacifico poi, e infine ancora l’Atlantico, solcati in pieno Ottocento. Prima con il Pilgrim, poi con l’Alert, imbarcazione che rimarrà nel cuore dell’autore e che avrà una fine epica: catturata e incendiata nel 1862 dalla nave a vapore sudista Alabama. Distrutta “per effetto di atti malvagi dei nostri compatrioti”. Curiosa coincidenza: anche “il caro vecchio Pilgrim” subirà più o meno la stessa fine: affondato dalle fiamme al largo della Carolina del nord. Una leggera brezza accompagnava proprio il brigantino Pilgrim all’uscita del porto di Boston, Massachusetts. Era il 14 agosto del 1834. Destinazione finale, la California. Senza radar, apparecchiature di sicurezza, satelliti a scrutare dall’alto le rotte frequentate. Non era ancora tempo di stretto di Panama e di ferrovie ultraveloci. Se non si voleva sorbirsi un viaggio con qualche carovana attraverso tutti gli Stati Uniti ancora in costruzione – ma la mitica e mitologica Route 66 era là da venire – non c’era altra soluzione che circumnavigare le Americhe, doppiando quel mostro che si chiamava Capo Horn. Dirà Melville: “Per avere una idea esatta di Capo Horn, bisogna leggere il libro ineguagliabile del mio amico Richard Dana”. Lui, Dana, ha diciannove anni quando decide di fare il grande passo. Si prepara al meglio per aver l’aspetto del lupo di mare, “di Nettuno in persona”, ma l’illusione dura poco: “Il passaggio dal rendigote, dal berretto di seta e dai guanti di capretto dello studente di Harvard ai flosci calzoni di tela grezza, alla camicia a scacchi e al cappuccio di tela cerata da marinaio, era stato abbastanza veloce, nonostante la trasformazione piuttosto estrema, ed ero convinto di potermi confondere tra gli altri. Ma in queste cose è impossibile ingannare l’occhio esperto”. Si aggrega all’equipaggio “col fardello di tutte le mie imperfezioni”, e da qual momento inizia a raccontare momento per momento la traversata. L’opera è un’enciclopedia sulla vita di mare. L’autore descrive fin nei più piccoli particolari lo scorrere dei turni di guardia, le occupazioni di ciascun uomo a botto del Pilgrim. Perfino il menù che era solito preparare il cambusiere, compreso il “regalo” per l’equipaggio dispensato la domenica – giorno biblicamente diverso dagli altri e per questo dedicato perfino alla lettura individuale – il duff: un budino nero appiccicoso e osante fatto di “farina bollita in acqua che si mangia insieme con un po’ di melassa. Una variazione gradevole alla carne salata e di maiale che si mangia durante la settimana”. Poche preghiere, comunque, anche la domenica: “Il nostro era un equipaggio tutto di bestemmiatori, dal comandante in giù sino al mozzo, e il massimo che potessimo aspettarci era un giorno di riposo e una parvenza di tranquilla compagnia tra di noi”. Si procede, tra giornate scandite dalla noia e paura per aver scorto all’orizzonte una nave di pirati. Ma la tensione è tutta rivolta a sud, a Capo Horn, con il suo mare freddo pressoché perennemente in burrasca. Acque nere, onde alte, nebbia, ghiaccio e neve. Venti terribili. Tutti sanno che è così, ci sono passate generazioni intere di marinai, ma quando ci si arriva, anche i più incalliti bestemmiatori s’appellano al cielo perché li porti in salvo al di là di quello scoglio. Con una prosa asciutta e pochi cedimenti alle emozioni, l’opera di Dana è il primo diario sulla vita in mare al di là dell’oceano nel Diciannovesimo secolo. E’ a questo libro che si ispireranno tutti per imbastire romanzi e saggi dedicati alla navigazione.
DUE ANNI SULL'OCEANO
Richard Henry Dana
Castelvecchi, 334 pp., 22 euro