A ferro e fuoco
La Nuova frontiera, 327 pp., 16 euro
Io ero quello che i sociologi definiscono un ‘piccolo borghese liberale’, cittadino di una repubblica democratica e parlamentare”, si presenta Manuel Chaves Nogales nel Prologo. Nato a Siviglia nel 1897, giornalista, tra il 1927 e il 1937 diventa famoso per i suoi reportage. Riesce a entrare nell’Unione sovietica di Stalin, scrive una biografia di successo su un popolare torero, intervista il ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels, denuncia l’esistenza dei primi lager hitleriani. Nel 1931 diventa direttore di Ahora, rivista vicina al leader repubblicano Manuel Azaña. “Lavoratore intellettuale al servizio dell’industria governata da una borghesia capitalista, erede diretta dell’aristocrazia agraria che tradizionalmente aveva monopolizzato i mezzi di produzione e scambio nel mio Paese”, era riuscito comunque a guadagnarsi “il pane e la libertà con una relativa agiatezza”. Anche se testimonia che quando “di ritorno da Roma” assicurava “che il fascismo non aveva aumentato di un grammo la razione di pane degli italiani, né aveva saputo fortificare il bagaglio dei loro valori morali”, il suo padrone non era altrettanto soddisfatto di quando (tornando da Mosca) aveva invece raccontato “che gli operai russi vivevano male e sopportavano un potere dittatoriale”. Quando scoppia la Guerra civile e la proprietà è sostituita da un consiglio operaio di delegati delle officine, Chaves Nogales pensa in un primo momento di potersi mettere “al servizio degli operai come prima ero stato agli ordini del capitalista, ossia, essendo leale con loro e con me stesso”.
Come giornalista ha successo, ma non ne può più del “terrore rosso” sparso a piene mani dagli “analfabeti anarchici e comunisti”, per lui altrettanto “barbari” che “i mori, i banditi del Tercio e gli assassini della Falange”. “Quando il governo della repubblica ha abbandonato il suo posto e se ne è andato a Valencia, io ho abbandonato il mio. Né un’ora prima né un’ora dopo”, scrive nel maggio del 1937 presentando questi nove racconti. “Nonostante l’inverosimiglianza delle avventure e l’improbabilità dei personaggi, non sono inventati né frutto di pura fantasia”, avverte la Nota di presentazione. Un massacro di prigionieri a Madrid in rappresaglia a un bombardamento, una spedizione di cavalieri franchisti, la caccia a una rete di spie falangiste, lo scontro tra un’amministrazione di repubblicani moderati e una banda di disertori che si abbandona al saccheggio e al banditismo col pretesto della lotta di classe, un ostinato “commissario” che in mezzo alla guerra si ostina a inventariare i tesori artistici nascosti nei paesini della Mancia, il capo di un gruppo di marocchini al servizio di Franco che è preso prigioniero dai repubblicani, un avvocato di destra che ha la vita salvata da un’umile miliziana e che non riuscirà a ricambiare, l’epopea personale di un vecchio meccanico anarchico trasformato in carrista, le disavventure di due lavoratori non di sinistra in una fabbrica ormai gestita da un Consiglio operaio: sono le vicende da cui emerge il terribile ritratto di un paese a pezzi attraversato da bande di avventurieri che in nome dell’ideologia sono pronte a compiere le più nefande efferatezze. Specie nei confronti dei pochi che da una parte o dall’altra cercano ancora di rimanere fedeli a valori di decenza e umanità. “Morì battendosi eroicamente per una causa che non era la sua. La sua causa, quella della libertà, in Spagna non la combatteva nessuno”, è il finale dell’ultimo racconto, che può ben figurare come epitaffio della stessa vicenda umana dell’autore. Fuggito nel 1940 anche dalla Francia, sarebbe morto in esilio in Inghilterra nel 1944.
A FERRO E FUOCO
Manuel Chaves Nogales
La Nuova frontiera, 327 pp., 16 euro