La fuga di Benjamin Lerner
Bollati Boringhieri, 244 pp., 16 euro
Varsavia, Prima guerra mondiale. Benjamin Lerner, “un soldato alto e ben piantato”, equipaggiato di tutto punto, corre per le vie della città. E’ diretto al ponte Praga: alle quattro in punto avrebbe dovuto presentarsi al Centro di deposito. Lì lo attendevano la paga mensile (quaranta copechi), una doppia razione di zucchero e la partenza per il fronte galiziano. Arriva al ponte ed è il caos: tram, camion, carri, automobili, una divisione di cavalleggeri che sfila lentamente e blocca il transito; un corteo funebre di ebrei da un lato e i lavori dei genieri intenti a piazzare mine e barili di esplosivo. Non si sa mai che, nel caso di una ritirata, bisognasse far saltare in aria il ponte. E’ la fine. Benjamin guarda l’orologio, sono le tre: non ce la farà mai. Ferma un droshky, offre tre rubli al conducente perché corra all’impazzata. Quello accetta il rischio, visto che era severamente proibito portare a bordo uomini in armi. Il cavallo corre troppo e viene fermato: due poliziotti militari gli chiedono le generalità e gli ordinano di presentarsi al suo comandante. Il nostro protagonista capisce l’antifona e decide di tornarsene indietro, girovagando nella Varsavia avvolta in una straordinaria cappa di afa. E’ un disertore, ormai. Si libera del fucile, sta attento a non farsi trovare da chi potrebbe riconoscerlo. Si rifugia dallo zio reb Baruch Joseph, profugo di guerra ma convinto di poter diventare milionario scavando la torba in quelle che erano le sue terre. Benjamin va per abbracciarlo, lui gli presenta la mano per il bacio. E’ duro e inflessibile e poco gradisce la liaison tra quel nipote testardo e sua figlia, Gitta, bramata dal fanfarone Yekel Karlover, il ricco figlio di Gedealia Codadimucca che prometteva al vecchio Baruch affari d’oro con la torba tutta da trovare. Alla fine, zio e nipote litigheranno, Benjamin se ne andrà sbattendo la porta. Gitta lo seguirà. E’ la fuga disperata dal mondo che cambia; un continuo peregrinare che nessuno come Israel Singer ha saputo esaltare con la penna del raffinato romanziere. Il copione è simile a quello degli altri suoi capolavori, con la giusta dose di grottesco mescolata sapientemente al drammatico. C’è la violenza e c’è l’ironia sugli ebrei che continuavano a dire “questo non è lavoro per ebrei”, scansando così ogni vanga e piccone che gli si parasse davanti. E’ un mix equilibrato, come gli era ben riuscito in Yoshe Kalb. E’ una storia di vagabondaggi lungo i boschi e le vallate di mezza Europa orientale. Uomini e donne costretti dalla grande guerra ad abbandonare terre abitate e coltivate da secoli. Il finale, a certificare l’alba d’una nuova èra, è ambientato nella Pietrogrado in tumulto dell’ottobre 1917.
LA FUGA DI BENJAMIN LERNER
Israel J. Singer
Bollati Boringhieri, 244 pp., 16 euro