Gli addetti militari italiani alla vigilia della Grande Guerra

Redazione
a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari
Rodorigo Editore, 261 pp., 25 euro

Inviare ufficiali militari presso i quartieri generali degli eserciti alleati, per coordinare le operazioni durante le guerre di coalizione, è stata una pratica secolare alla base della nascita della figura dell’addetto militare. Quest’ultima fu poi istituzionalizzata nel nostro paese nel 1870, quando fu stabilita la possibilità di distaccare ufficiali generali o superiori delle due forze armate – militare e navale – presso le rappresentanze diplomatiche estere. Da quel momento l’addetto militare, come scrivono i due curatori, assume “un ruolo di particolare importanza”. Importanza determinata “dalla mole di informazioni che l’addetto forniva sia all’ambasciatore e, dunque, al ministero degli Esteri, sia ai vertici istituzionali e militari della madrepatria”. L’addetto stilava rapporti su tutto ciò che era attinente alla sfera militare (dalle riforme degli eserciti ai loro bilanci); inoltre inviava regolarmente volumi, articoli di riviste e giornali che parlavano dell’esercito del paese in cui operavano e delle relazioni con l’Italia. L’addetto aveva poi anche “un’importante funzione commerciale”, in quanto spesso era il tramite per accordi tra le industrie belliche straniere e quelle italiane. Alla luce di tutto ciò, sorprende che il ruolo di questi addetti militari – assieme alla documentazione da loro prodotta – “è stato tuttavia trascurato pur dalla ricca storiografia relativa alla Prima guerra mondiale”, come osserva Antonio Iodice, professore e presidente dell’Istituto di studi politici “S. Pio V”.
Gli autori dei saggi, paese per paese e archivi alla mano, tentano dunque di supplire a tale carenza. Andrea Ungari, per esempio, studia le relazioni degli addetti militari a Berlino. Nella capitale tedesca, nel 1871, era arrivato d’altronde il primo addetto militare del Regno d’Italia, il maggiore Stanislao Mocenni. Il focus di questa ricerca rimane comunque il periodo 1910-’15. Nel 1910, Luigi Leonardo Calderari venne nominato addetto militare. Nei suoi quattro anni di trasferta, strinse rapporti profondi con l’imperatore stesso e con i massimi livelli dell’establishment militare del paese, ovviamente nel solco della Triplice Alleanza che era stata stipulata tra Italia e Germania nel 1882; al punto che, quando Roma dichiarò la propria neutralità nell’agosto 1914, la situazione divenne “effettivamente insostenibile e imbarazzante” per lo stesso militare che quindi ottenne di rientrare. Nel frattempo però Calderari aveva sottolineato per tempo, tra le altre cose, la costante corsa al riarmo dell’esercito tedesco. Aveva osservato già nel gennaio 1913 che, di fronte alle guerre balcaniche, “le alte autorità militari di qui continuano a considerare il momento politico come grave. Non hanno fiducia nell’opera della diplomazia e ritengono miglior consiglio venire ad una soluzione colle armi delle difficoltà che agitano l’Europa”. Allo stesso tempo l’addetto militare non aveva mai perso di vista lo stato dei rapporti franco-tedeschi, non soltanto con letture della stampa dell’epoca e analisi approfondite, ma anche raccogliendo un giudizio illuminante come quello del generale Von Moltke, per il quale “la prossima guerra fra Germania e Francia sarà per noi una questione di vita e di morte. Noi non indietreggeremo davanti a nulla, pur di raggiungere lo scopo”. Calderari fu sostituito da Luigi Bongiovanni. Il lavoro di entrambi gli addetti militari – conclude Ungari alla luce delle proprie analisi – fu sicuramente letto e preso in considerazione a Roma in quel difficile biennio che precedette la Prima guerra mondiale. Ricercatori accademici e normali lettori potranno finalmente fare lo stesso.

 

GLI ADDETTI MILITARI ITALIANI ALLA VIGILIA DELLA GRANDE GUERRA
a cura di Francesco Anghelone e Andrea Ungari
Rodorigo Editore, 261 pp., 25 euro

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