Pour un traité des corps imaginaires
P.O.L, 141 pp., 11,90 euro
In Francia, verso la metà degli anni Settanta, c’era chi preparava scalate accademiche armeggiando testi maoisti e sociologia a tre dimensioni. Jean Louis Schefer, invece, lavorava su Agostino e il diritto romano. Questo confronto chiarisce molte cose. Scrittore “senza romanzo”, Schefer non ha mai amato le mode del tempo (e neppure l’accademia), preferendo indagare questioni a lui care: la pittura in primis, la teologia e il diritto romano; quindi un po’ di cinema e fotografia, letteratura e filosofia. Questi campi di indagine innescano una continua speculazione, un continuo movimento correttivo che si dipana libro dopo libro, nel tentativo di comprendere che cosa sia un’immagine. Da questo punto di vista, il recente “Pour un traité des corps imaginaires” esemplifica e ben riassume questo atteggiamento, che possiede un fondo “romantico” (è l’idea di un io in continua metamorfosi – un movimento correttivo nei confronti del sapere). Inteso come una meditazione, una “passeggiata” alla Rousseau, il libro indaga alcune questioni che assillano Schefer: che uso facciamo dell’immagine? Che cos’è una figura? Qual è il suo ruolo? Come accostare due quadri? E piazza in quest’ultimo caso una stoccata all’ultima moda espositiva, la collezione prèt â porter ispirata a Aby Warburg (ah! gli anacronismi!). Nel libro, un acquerello di Turner dipinto a Venezia e un quadro di Berthe Morisot sono l’occasione per dilatare questa “passeggiata”, lavorando su connessioni inattese, evocando fonti letterarie (Montaigne, Diderot, Descartes, Proust, Du Bellay, Balzac e il suo Chef d’oeuvre inconnu) quanto pittoriche (Bacon, El Greco, Tiziano, Goya, l’Angelo della Storia di Klee-Benjamin e i due di Giotto, intenti ad arrotolare il cielo, nella Cappella degli Scrovegni a Padova). E’ il libro di un essayste, nella migliore accezione del termine. Un libro la cui scrittura e stile risultano davvero evocativi e insieme precisi, senza sbavature: di certo in nulla corrispondenti agli standard offerti degli odierni maître à penser da salotto. Qual è il fondo, quali sono le fondamenta nascoste che puntellano il saggio? La sua propensione “archeologica”, si potrebbe dire. “Pour un traité des corps imaginaires” è un libro incentrato sul concetto di sacrificio. Il discorso di Schefer fa perno sulla funzione dei rituali cristiani cattolici, sull’idea di “sostituzione”, di “debito” e di “simulacro” legate al dono (e all’immagine). Sono questioni antropologiche, teologiche (dispute medievali sull’immagine: 787, Libri Carolini – secondo consiglio di Nicea) che Schefer ha affrontato e approfondito (un esempio su tutti è dato dal volume intitolato “L’Hostie profanée” P.O.L, 2007). Per Jean Louis Schefer, ciò che resta eternamente “moderno”, fin dalla preistoria, è l’incessante mutazione dell’io, la sua instabilità strutturale (così come la storia del tratto registra l’incessante mutabilità delle forme umane). Alla domanda su che cosa sia un’immagine, l’autore risponde: un’oblazione, un’offerta, che – per riprendere una definizione della scolastica – sostituisce la “res ipsa”. L’immagine rimpiazza qualcosa. “Nella sua logica sacrificale, che fa oblazione di un essere vivente all’ignoto supremo, ogni religione afferma che quanto è divenuto immagine della vita sia il pegno di un debito del tempo umano sull’eternità”. Perché dunque davanti alla pittura si sprigiona una forma di godimento legata a un “simulacro”? Questo “simulacro” è lo strumento di godimento delle cause immaginarie, dato che la realtà resta un’approssimazione, di cui la pittura – momento illimitato di derealizzazione del mondo – è lo stato enigmatico, interpretativo.
POUR UN TRAITE' DES CORPS IMAGINAIRES
Jean Louis Schefer
P.O.L, 141 pp., 11,90 euro