1948. Gli italiani nell'anno della svolta
Mario Avagliano, Marco Palmieri, il Mulino
Più d’una volta – e più d’un esponente politico dell’uno o dell’altro partito in lizza – è stato ricordato al popolo elettore nei mesi scorsi che le elezioni del 4 marzo sarebbero state importanti quanto quelle del 18 aprile del 1948, le prime dell’Italia liberata dal ventennio fascista e non più divisa tra monarchici e repubblicani, tra devoti del duce di Salò e ammiratori convinti del vecchio Josif Stalin. Hanno ragione Mario Avagliano e Marco Palmieri quando scrivono, nell’Introduzione di questo volume, che le elezioni di quell’anno “sono state un passaggio epocale, dall’esito tutt’altro che scontato, che ha sancito la fine della travagliata transizione dal fascismo alla democrazia e l’inizio di una fase politica nuova”.
Tutto vero ma anche abbastanza noto. E però il libro racconta soprattutto altro, amplia questa constatazione per così dire “storica” e assodata e ne indaga le ragioni, scandagliando con rigore e perizia il terreno sul quale fu preparato quel voto. Un voto, ed è bene ricordarlo, il cui esito era tutt’altro che scontato, nonostante quanto si sia detto negli ultimi decenni. Gli italiani provati dalla guerra furono messi dinanzi a un’alternativa secca: o il mondo occidentale a guida americana o quello comunista. Ma i connazionali come vissero quelle settimane? Come si avvicinarono alla scelta decisiva, destinata a segnarne il futuro politico? Prima di arrivare al momento clou, gli autori ripercorrono i temi sul tavolo della campagna elettorale, che giocoforza si intersecavano con le grandi questioni che il Dopoguerra aveva aperto.
Oltre alla scelta di campo da compiere, c’era il Piano Marshall (Togliatti non lo voleva, De Gasperi ovviamente sì), le terre di confine ancora contese, le tensioni sociali e gli scontri non rari tra gli italiani stessi che non avevano ancora del tutto nascosto le armi della guerra civile. Ma soprattutto, vi era la fine dello spirito costituente. Una fine annunciata, la cui gestazione è durata mesi: “Le grandi manovre per la rottura dei governi di unità nazionale, sostenuti da tutti i partiti della Resistenza, erano di fatto iniziate il 3 gennaio 1947, quando il leader della Dc e presidente del Consiglio Alcide De Gasperi si reca in visita negli Stati Uniti”, si legge. Da lì in poi, la tensione tra le forze politiche salì in modo inesorabile. E non si esaurì neppure con il voto del 18 aprile, che consegnò alla Dc le chiavi del governo con una maggioranza netta.
Tant’è che si ricordano le discussioni aspre sulla Dottrina Truman e il Piano Marshall, nonostante poi siano entrambe state approvate con larghissime maggioranze parlamentari. Il momento che avrebbe potuto segnare una svolta, anche nella storia d’Italia, reca la data del 14 luglio, quando Antonio Pallante, appena fuori Montecitorio, sparò quattro colpi di pistola contro Palmiro Togliatti che (uscito dalla Camera) stava andando a prendersi una “granita di caffè”. Sono le parole di Nilde Iotti a ricordare quella mattinata, con il leader comunista che prima di entrare in sala operatoria continuava a dire: “State calmi, state calmi”. Non era il momento di esasperare di nuovo gli animi, di far ripiombare il paese nella guerra intestina.
Il saggio è completo, l’apparato bibliografico è ricco, le note confermano l’ampio e documentato lavoro di ricerca. Apprezzabili le riproduzioni dei manifesti della campagna elettorale del 1948, che bene fanno comprendere al lettore anche non avvezzo alla lettura di libri storici, quale fosse il clima di quei mesi di totale incertezza. In un’epoca in cui non c’erano sondaggi né sondaggisti, il conto alla rovescia per l’apertura delle urne era davvero vissuto con pathos.
Mario Avagliano e Marco Palmieri
Il Mulino, 435 pp., 25 euro