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(Ansa)
Il foglio della moda
La nuova moda del convegno “intimo”. Tendenze sociali (e non social)
Tramonta ormai anche il format dell'incontro allargato, della grande riunione dove centinaia di persone ascoltano più o meno sempre gli stetti relatori seduti dietro un tavolo. Meno partecipanti, più networking
Insieme con gli inviti alle cene, dove il modello dell’incontro “intimo” - sessanta persone al massimo, tutte a vario titolo “rilevanti” – è diventato una prassi, nel sistema della moda tramonta anche il format del convegno allargato, della grande riunione dove centinaia di persone ascoltano più o meno sempre gli stessi relatori seduti dietro un tavolo (esattamente come la selezione dei direttori creativi, anche fra i partecipanti agli incontri pubblici ricorrono gli stessi nomi, che rafforzano o rarefanno la propria presenza a seconda dell’andamento dell’azienda che guidano o gestiscono). Il networking, la relazione personale, che è poi la motivazione ultima di queste riunioni, insieme con una discussione vera, che coinvolga tutti i partecipanti e favorisca lo scambio di idee, evitando la formula della relazione scritta e letta ad alta voce nel minutaggio concesso, è la prassi scelta dal “Foglio della moda”, negli ultimi incontri che ha organizzato: il primo, che intende replicare ogni semestre attorno a un tema relativo alla diffusione e alla distribuzione, si è tenuto nella Sala Camino della showroom di Doucal’s, il brand di calzature d’eccellenza dei fratelli Gianni e Jerry Giannini a Palazzo Bagatti Valsecchi, attorno al tema del numero di gennaio, e cioè la nuova narrativa dei luoghi della moda, dall’allestimento all’architettura, fino ai percorsi e alle interrelazioni fra venditori e clienti che, dopo gli entusiasmi per l’e-commerce paralleli o seguiti alla pandemia, sono tornati centrali nella vendita di abbigliamento e accessori.
Queste relazioni, preziosissime e che vanno a intersecarsi con il ritocco verso l’alto dei prezzi della moda, alla base delle attuali difficoltà dei brand di prima fascia, e con una corsa al recupero della marginalità da parte degli stessi brand che sta assottigliando di conseguenza quella dei buyer e portandoli a una serie di valutazioni di cui si vedranno i risultati fra pochi mesi, è stata al centro della discussione. Particolarmente tranchante sul ruolo attuale dei negozi multibrand come luoghi di ricerca, e come tramite fondamentale per un cliente sempre più disorientato, e soprattutto irritato con una politica di prezzi di cui non riconosce il valore corrispettivo nel bene acquistato, è stata Maura Basili, presidente di Camera Buyer, che nei giorni successivi ha portato le stesse posizioni al Tavolo della Moda, alla presenza del ministro Adolfo Urso. Sulle stesse posizioni, inevitabilmente, ma ponendo l’accento sul tema del servizio, cioè della formazione di chi vende, del rapporto di fiducia che deve saper creare con il cliente e che è determinante per il successo di una collezione, di una boutique o di un marchio (brand come Valentino, Bottega Veneta e Fendi si sono contesi per anni una signora dell’aristocrazia romana) è stato Maurizio Coltorti, l’imprenditore della moda di lusso di Jesi acquisito due anni fa da Nhn Commerce, divisione retail del colosso tecnologico coreano Nhn. Ma se per Mauro Galligari, partner di Studio Zeta e responsabile comunicazione di Camera Showroom, selezione e proposte impegnano l’associazione su scala internazionale, affiancandosi alle attività di Ice, Claudia Campone, fondatrice Thirtyone Design + Management, ha sottolineato il rapporto percorso-risultati, intendendo naturalmente il percorso vero, effettivo, i gesti e i movimenti che il cliente compie entrando in negozio, e al tempo stesso il progressivo ampliamento del terreno di gioco dei brand a luoghi fino a pochi anni fa nemmeno considerati (sì, è stata lei ad aver sostenuto Dior nella “brandizzazione” dei bagni Fiore di Paraggi sulla quale questa testata si è scagliata a più riprese, ben sapendo che comunque il “new money” straniero, che ancora spende, apprezza le cabine brandizzate e i lettini col logo almeno quanto l’”old money”, che ha ancora i vestiti couture della nonna nel guardaroba, le rifugge).
Su posizioni più morbide, Carmelo Carbotti, responsabile strategic marketing di Banca Ifis, che da anni va sviluppando il progetto “Economia della Bellezza” e crede, giustamente, nel valore dell’eccellenza artigiana, insieme con Alberto Cavalli, direttore esecutivo di Michelangelo Foundation for Creativity and Craftmanship e curatore di Homo Faber, che nell’ultima edizione di settembre, allestita da Luca Guadagnino all’Isola di san Giorgio sul tema del percorso umano dalla nascita alla morte, ha superato i 50mila visitatori, avvicinandosi ai numeri della prima edizione del 2018, e coinvolgendo oltre quattrocento artigiani da settanta paesi. Gli argomenti che al momento interessano il sistema della moda sono infiniti. Ma anche le sfilate stanno orientandosi verso parterre sempre più selezionati, e non solo per una questione di costi. Questa sera, all’hotel de la Ville a Roma, sfileranno due maison storiche, André Laug e Emilio Schuberth, acquisita nel 2006 da Elena Perrella, nei modi e nei tempi del Dopoguerra, cioè per poche decine di persone. L’obiettivo è di riportarle all’attenzione dei media davvero interessati, nell’ambito del progetto “Roma couture” che si è impegnata a non spegnere e dissipare un’eredità importante, com’è successo a Torino.