
(Ansa)
Editoriali
Il “modamercato” è una brutta idea
Il continuo scambio di teste fra i grandi gruppi sta disorientando i clienti e annullando le differenze che dovrebbero permettere alle brand communities di scegliere, e di pagare i favolosi sovrapprezzi senza ridere
Il problema della moda di lusso, adesso, non sono nemmeno più gli aumenti di prezzo dei capi venduti nelle boutique o i guai nei quali si dibatte la filiera nazionale, schiacciata fra l’aumento dei costi e la limatura costante dei ricavi ai quali viene sottoposta dai suoi committenti, cioè dai brand stessi. Il problema sono le risate di scherno che ormai accompagnano sui social il cambio del giorno alla direzione creativa di un marchio qualunque, e che stanno facendo perdere di credibilità al settore più di quanto abbia potuto fare un decennio di autocoscienza sui danni ambientali prodotti dai guardaroba occidentali.
L’ufficializzazione dell’uscita di JW Anderson dalla guida di Loewe, anticipata un po’ da chiunque, a partire da noi del Foglio, ha innescato una valanga di risate e di apparentamenti fra il mondo della moda e quello del calcio. Il “modamercato” non è una buona notizia. Perché se togli a un settore che vive di “asset intangibili” la sua sacralità, poi tenere sul prezzo sarà impossibile. Due giorni fa, mentre il ceo di Kering, Pinault, si affrettava a rispondere alle Borse che avevano salutato la notizia della nomina di Demna alla direzione creativa di Gucci con un secco -13 per cento con una nota dove spiegava che il lavoro del creativo georgiano per il marchio principale del suo gruppo non sarebbe stato affatto paragonabile a quello iconoclasta messo in atto nell’ultimo decennio per Balenciaga, su Instagram è iniziato a circolare il lavoretto di un account modaiolo che ha chiesto a un programma di AI di immaginare la sua prima collezione.
Nel momento in cui scriviamo, la sfilata Gucci by Demna, tutta sneaker giganti, cinturone brandizzate e falpalà oversize, è stata ripostata decine di migliaia di volte, dimostrando due cose: che un creativo ben caratterizzato continua a riprodurre sé stesso ovunque vada, e che il continuo scambio di teste fra i grandi gruppi sta disorientando i clienti e annullando le differenze che dovrebbero permettere alle brand communities di scegliere, e di pagare i favolosi sovrapprezzi senza ridere.