Metti la musica nello spazio e il risultato è un'incantevole meraviglia
Arte, danza e melodia. Un progetto ambizioso e radicale
Stefano Mainetti (1957) ha composto e diretto colonne sonore, musiche di scena e musica sacra o biblica di notevole livello, eseguita in Italia e in Europa. Gli è venuta un’idea e l’ha parzialmente realizzata e presentata lunedì scorso in una riunione al MAXXI, il magnifico e scalpitante museo di arte moderna e contemporanea disegnato da Zaha Hadid tra l’Auditorium di Renzo Piano e il ponte della cultura nella zona nord di Roma, a via Guido Reni, dalle parti del Flaminio, museo diretto da Giovanna Melandri.
L’idea è di mettere virtualmente la musica nello spazio e di “aumentarla”, cioè di stimolare sensorialmente lo spettatore con un meccanismo di integrazione tra armonia e melodia, arte pittorica in versione tridimensionale, danza che entra nei quadri. Il tutto della musica aumentata si dipana dentro una struttura spaziale a croce. Al centro un quintetto di violoncelli in assetto da camera, dalla rotonda dei violoncelli si dipartono quattro corridoi che sboccano in altrettanti luoghi dove domina la presenza visiva di opere di Picasso (Guernica), Piranesi (Carceri d’invenzione), Braque (Violon et Compotier) e Patrizio De Magistris (Prove di Tango). La misteriosa incantevole integrazione si realizza virtualmente nell’allontanamento del violoncello dalla sede musicale in cui la partitura procede e nel suo inserirsi, progressivamente “dimenticando” il motivo sonoro d’origine, in altro ambito musicale, con spartiti nettamente diversi ma senza che la melodia originale debba fare altro che entrare, restando se stessa, in una nuova composizione che procede nel nuovo spazio, e lì si gioca con l’immagine, gioco drammatico di buona fattura, si danza e si offre l’esperienza della multisensorialità.
Il processo spaziale-musicale è reversibile, e virtualmente i violoncelli ritornano al loro posto, nel cuore della croce, riprendendo la concertazione iniziale, fanno su e giù con disinvoltura e animano questa croce musicale che ha qualcosa a che vedere con i cori spezzati di San Marco, a Venezia, dove si ripete da secoli l’esperimento classico di una sorta di originaria stereofonia. La dimensione virtuale, con metodi complessi di allestimento, può diventare materiale e diretta, per spettatori dentro uno spazio fisico-sonoro percepibile. Il progetto è ambizioso, proprio per la sua radicale vocazione tecnologica e per la sua definizione non solo teorica, e ha bisogno di nuovi contributi per progredire e diventare performance non solo virtuale. L’occasione è stata considerata ghiotta da un folto pubblico, e commentata con cura e misura dal musicologo Ernesto Assante, da Michele Dall’Ongaro, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, da Claudio Strinati, critico e storico d’arte e musicologo, e da Monique Veauté, presidente della Fondazione Romacultura.
Al rendering hanno contribuito due splendidi danzatori, il maestro Luca Pincini al violoncello, e una troupe tecnologicamente esperta di operatori. Serata notevole e di grande successo.