Rubare il buon senso
Appropriazione culturale. All’Eurofestival, l’ultima frontiera del pol. corr.
Se sei un’artista israeliana non puoi indossare un costume di scena che ricorda i vestiti tradizionali giapponesi. Si chiama appropriazione culturale, ed è l’ennesima bandiera del politicamente corretto, che ora ha superato i confini delle accademie americane ed è entrata a tutti gli effetti anche nella cultura liberal europea. Il caso viene dalla finale dell’Eurovision Festival, celebre contest canoro per i paesi europei, che si è tenuta sabato scorso. A vincere è stata Netta Barzilai, cantante israeliana di 25 anni, che con la canzone “Toy” ha convinto soprattutto i telespettatori. Netta è un personaggio simpatico, fino a poco tempo fa molto coccolato dai media perché simbolo della resistenza antibullismo, trasformatasi in icona della musica pop “nonostante il mio peso” e nonostante le continue prese in giro, ma non è bastato.
Quando per la performance finale Netta è salita sul palco con i capelli raccolti come un manga giapponese e un vestito molto simile a un kimono, molti utenti online l’hanno accusata di “furto” culturale. Per ora Netta – appassionata di letteratura giapponese – non ha risposto alle accuse. Però il mantra dell’appropriazione culturale sta diventando un pericolo, proprio per la sua scivolosa definizione. Dove finisce, infatti, la globalizzazione e inizia l’appropriazione? E che ne è dell’arte, si domandava ieri sul South China Morning Post Luisa Tam, che è fatta di furti da altre culture, espressione di diversità? “Sembra una sorta di fuorviato senso nazionalista, o perfino un recondito sentimento xenofobo”, scrive Tam, a proposito di una ragazzina dello Utah tormentata sui social per le sue foto in cheongsam, l’abito tradizionale cinese. Di questo passo, anche citare Confucio sarà un’appropriazione culturale?