Manuale per lo sputtanamento
Come sputtanare gli estranei alle indagini senza pagare pegno
Fenomenologia della parola chiave del processo mediatico: il contesto
Diciotto anni fa i gran muftì dell’antimafia palermitana arrestarono un povero frate dell’ordine dei carmelitani scalzi. Si chiamava Mario Frittitta, era parroco di Santa Teresa alla Kalsa. Lo ammanettarono perché lui, seguendo la sua missione sacerdotale, aveva avuto l’ardire di confessare un boss latitante, Pietro Aglieri, senza chiedere la preventiva autorizzazione né al procuratore Gian Carlo Caselli né a uno dei suoi pettoruti sostituti. Come si era permesso? Ovviamente poi finì assolto: padre Mario, così lo chiamavano i parrocchiani, aveva semplicemente obbedito alle legge di Dio. Ma il coraggioso pm di Caselli, per dominare la scena del processo e puntellare un’accusa a dir poco avventata, si esibì per oltre tre ore in una disquisizione teologica. E quando il presidente del collegio giudicante chiese sommessamente quale fosse l’utilità di quel lungo e noiosissimo sproloquio, il rappresentante della procura replicò sdegnato: presidente, io sto ricostruendo il contesto.
Continua a leggere l'articolo di Giuseppe Sottile
Perché Lupi è finito sulla gogna mediatica senza essere indagato
Privi di indizi e pieni di intercettazioni inutili, i magistrati possono sputtanare chiunque grazie alla “discovery”
La parola chiave è “discovery”. Suona bene alle orecchie del profano di procedura penale perché almeno è una parola inglese, dunque moderna per definizione, e lontana dai tempi immutabili degli azzeccagarbugli e del loro latinorum. E’ addirittura musica soave per il giurista che ne coglie il suono anglosassone, evocatore per lui di un processo finalmente ad armi pari, promessa mai mantenuta a sud delle Alpi. Eppure, da quando la discovery è divenuta parola corrente nel processo penale, ha portato in auge come mai prima espressioni quali “gogna mediatica” e “macchina del fango”. Eterogenesi dei fini o riprova che le peggiori persecuzioni, con l’unica eccezione forse del nazismo, nascono e si affermano in nome del “bene comune”. Con la discovery si sono trovate messe alla gogna, metaforica ma non meno umiliante, signorine dai costumi leggeri divenuti non più privati, mariti non irreprensibili ma nemmeno fuorilegge, uomini e donne appartenenti ai ceti sociali più diversi dai muratori ai ministri, dalle puttane alle principesse.
Continua a leggere l'articolo di Massimo Bordin
Il segnale di debolezza che offre il governo quando dice “aumentiamo le pene”
La presa di posizione del presidente dell’Anm, Dott. Sabelli, risponde chiaramente a una esigenza strategica e costituisce un esempio lampante di cosa si debba intendere per “populismo penale”. Sottolineare, infatti, che la politica non prende “a schiaffi” i corrotti e non “accarezza” i magistrati significa sostenere che la politica è inerte, inconsapevole, se non collusa con i corrotti e delegittima, invece, chi è custode della legalità: il tutto ai fini della ricerca di un facile consenso nell’opinione pubblica. Ci risiamo: siamo al gioco “dei buoni e dei cattivi”, all’affermazione di un’idea manichea della giustizia e dei poteri dello stato, secondo cui la magistratura rappresenta il bene e gli altri il male. Non si comprende, peraltro, per quale ragione la politica dovrebbe “accarezzare” la magistratura – che si ritiene al contrario “schiaffeggiata” – trascurando che l’equilibrio tra i poteri non si raggiunge attraverso vezzeggiamenti, ma nel rispetto delle prerogative costituzionali. Gli schiaffi, peraltro, sarebbero quelli affibbiati alla magistratura solo perché il Parlamento ha approvato la legge sulla responsabilità civile dei magistrati che è, invece, norma equilibrata che prevede ipotesi di responsabilità solo per dolo o per gravissimi e inescusabili errori di colui che amministra la legge, consentendo al cittadino di conseguire dallo stato un ristoro senza ostacoli che lo rendano impossibile o difficilissimo.
Continua a leggere l'articolo di Beniamino Migliucci, presidente delle Camere penali
Contro il populismo penale
Obbligatorietà dell’azione penale, fine della discrezionalità dei magistrati, terzietà del giudice. Caro Renzi, è arrivato il momento di rivoltare come un calzino la giustizia ingiusta (e di ascoltare la lezione di Giovanni Falcone). Lettera di un renziano doc
Caro direttore, come lei sa io apprezzo l'attenzione che il suo giornale riserva al tema del funzionamento della giustizia nel nostro paese. Un tema decisivo, che attiene alla qualità complessiva della nostra democrazia, perché tocca il delicatissimo equilibrio tra pretesa punitiva dello stato, garanzie dei singoli, e tutela delle vittime, e costituisce altresì una delle leve sulle quali tentare di riavviare lo sviluppo economico del paese.
A me pare non si possa non riconoscere che il nostro governo, a partire dal premier e dal ministro Orlando, abbiano ben compreso quanto una riforma adeguata di questo sistema inefficiente rappresenti un aspetto rilevante della modernizzazione del paese, e sono persuaso che, pur con tutte le evidenti difficoltà che un tema complesso come questo comporta, si sia mosso nella direzione giusta, a partire dalla priorità assegnata alla giustizia civile, vero buco nero nel funzionamento del nostro sistema.
Continua a leggere l'articolo di Alfredo Bazoli