Contendersi Forza Italia
Quando Giorgia Meloni dice che in Puglia Silvio Berlusconi vuole solo regolare i conti con Raffaele Fitto dice una cosa vera, ma anche no. I brandelli di Forza Italia che si apprestano a dislocarsi nelle nuove zone d’ombra create dall’esplosione del centrodestra veneto sono il segno di una crisi di progetto politico, ma anche no. I mille personalismi che quotidianamente lacerano, tra il dramma e la farsa (più la farsa), i fondali un po’ smunti del teatro del potere berlusconiano parlano di una necessità di ricambio vera, ma anche no. Di vero ci sono la crisi di parola politica di un partito, l’indebolimento per cause di forza maggiore di una lunga leadership, la necessità di rinnovamento generazionale. Sono dati della politica, è necessario farci i conti. Di meno vero, c’è che Silvio Berlusconi sia un leader che ha lasciato la scena. Non è così, anzi ha mantenuto una sua versatile centralità anche nel momento in cui – secondo i suoi nemici, che lo hanno estromesso per via giudiziaria dal Senato e dalla vita politica – pareva ridotto a un ex monarca divenuto cosa del passato. Il patto del Nazareno, per quanto poi malamente mezzo tradito, lo testimonia. In più, da ieri è tornato libero, ha finito di scontare la sua pena.
La legge Severino intralcia soltanto la sua eventuale candidabilità (Milano, bel suol d’amore), ma non l’agibilità politica. Ora può usarla, la libertà riacquistata, per darle un contenuto. Da una parte si tratta di rimettersi alla testa del partito, spendersi in idee, filo diretto con l’elettorato e leadership riconoscibile. Che significa anche senza intermediazioni. Dall’altra significa favorire un cambio generazionale, anche a costo di fare casting, cosa che non gli è mai riuscita male. Ma c’è un’altra cosa, senza dubbio la meno consona alla sua psicologia, che dovrebbe fare, ora che è libero. La vera malattia di Forza Italia, nelle sue varie metamorfosi, è il fatto che il partito non è mai stato, e non è, contendibile. Non è mai uscito dal personalismo, né da un blando tribalismo, col risultato che chi ieri non contava e oggi conta si sente il nuovo padrone della “roba” (politicamente parlando). E chi ieri contava e oggi non conta si sente tradito. E ha due uniche alternative: andarsene; oppure il regicidio scespiriano, che però nella politica italiana raramente paga. Se Fitto, come altri prima di lui, avesse avuto (o avesse ora) la possibilità di contendere il partito attraverso un meccanismo di primarie, o banalmente congressuale, probabilmente avrebbe perso, e saremmo qui a raccontare un’altra storia della disfida di Puglia. Ma da una battaglia delle idee e delle persone potrebbe comunque emergere quel nuovo che, senza un terreno di coltura e un luogo di scontro leale e aperto, non può germogliare.