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Il partito azienda si ritira ma gli imprenditori non renziani esistono ancora
Roma. C’erano una volta Silvio Berlusconi e Cesare Geronzi, capitale e sistema, politica e finanza, con la morbidezza pettinata di Gianni Letta a lubrificare le intemperanze, umorali e no, di Giulio Tremonti, il ministro ambizioso che a Geronzi certo si contrapponeva, ma che pure era il ministro nel cui nome venivano fondate non cattedrali ma capannoni, colui il quale incarnò e battezzò il sogno delle partite Iva al potere con la Tremonti-bis. E c’erano una volta le cene con gli imprenditori, tutti a fare la fila, gli stessi che ora staccano gli assegni per Matteo Renzi, e ci fu nel 2000 un presidente di Confindustria, Antonio D’Amato, che votava per Forza Italia, e pure un Cavaliere che a Vicenza, nel 2006, agli imprenditori disse che “chi di voi si schiera con la sinistra lo fa perché ha scheletri nell’armadio”, mentre quelli, i confindustriali, un po’ lo fischiavano ma pure molto lo applaudivano, soprattutto i padroncini del nord-est. E insomma c’era una volta il potere, ma intorno c’era pure il denaro, e il centrodestra anomalo poggiava, sì, come sempre, sul partito azienda e sull’azienda partito, sul conflitto d’interessi e dunque sui bilanci floridi e sulla capacita di fuoco di Mediaset e di Mondadori, fra televisioni, giornali e fideiussioni bancarie, ma intorno alla destra, alternativamente d’opposizione e di governo, c’era pure quella che gli anglosferici chiamano “constituency” economica, una base non soltanto elettorale ma finanziaria, schierata intorno a quel partito e a quella coalizione che inventarono lo slogan “meno tasse per tutti” presentandosi sugli scaffali del supermecato elettorale con l’etichetta di “difensori delle imprese”.
Oggi l’azienda partito dà l’impressione d’essere in una fase in cui prova a fare cassa, non solo il Milan presto ceduto al thailandese Bee, non solo la vendita del 25 per cento delle antenne di Ei Towers, la liquidazione del leasing della sede del Giornale a Milano, la cessione del 50 per cento di Mediolanum assicurazioni, ma adesso anche la voce, più di una voce, che Vincent Bolloré, con la sua Vivendi, possa acquisire una certa quota di Mediaset. E insomma il Cavaliere un po’ arretra, mentre il suo partito, malgrado Berlusconi abbia devoluto a Forza Italia il suo ovviamente cospicuo due per mille, ha un buco di circa 68 milioni di euro, ha dovuto licenziare i dipendenti, dovrà abbandonare la sede di San Lorenzo in Lucina e ha pure visto oscurarsi il sito forzasilvio.it per il mancato pagamento di fatture per un importo di 200 mila euro. Soldi non ce ne sono nella galassia esplosa del centrodestra, e quelli che ci sono, come i duecento milioni della Fondazione An, sono contesi, oggetto di esposti e baruffe tra gli sparsi eredi di Giorgio Almirante: un po’ in Forza Italia, un po’ in Fratelli d’Italia, un po’ senza famiglia politica.
[**Video_box_2**]E insomma manca il denaro, un po’ come agli altri partiti che vivono senza finanziamento pubblico, ma forse più che agli altri partiti. Eppure gli imprenditori, e danarosi, che si guardano intorno esistono, Bernardo Caprotti e Diego Della Valle, Tod’s ed Esselunga, Francesco Gaetano Caltagirone e Mario Moretti Polegato, il costruttore e il signor Geox, tutti loro pare siano interessati a sostenere un progetto alternativo alla sinistra di Renzi. Come pare lo sia tutto il sistema bancario del Veneto, e della Lombardia, molto scontento del decreto sulle Popolari, e poi un pezzo consistente dell’Assolombarda, assieme agli imprenditori della sanità e agli industriali brianzoli che producono, ed esportano in tutto il mondo, mobili. Due anni fa, quando Berlusconi cercò di selezionare e portare in politica degli imprenditori, gli riuscì soltanto di presentare all’elettorato il presto eclissatosi Gianpiero Samorì. “La constituency economica ci sarebbe ancora”, dicono, “è la rappresentanza politica che non c’è più”.