Il maramaldo d'interessi
L’idea del governo di Matteo Renzi di riesumare, a Italicum appena approvato, la vecchia bandiera antiberlusconiana del conflitto d’interesse a prima vista appare più stravagante che minacciosa. Ma è un segnale ambiguo, bifronte. Un tema che per anni è stato agitato come “arma finale” per sbarrare la strada a un leader del centrodestra competitivo e spesso vincente, ora che le probabilità che Silvio Berlusconi torni a Palazzo Chigi sono pressoché inesistenti appare più che altro maramaldesca. E’ probabile peraltro che, anche questa volta, si tratti di una manovra dilatoria, di un argomento da dare soprattutto in pasto all’opinione pubblica – al pari dell’abolizione dei vitalizi – per poi lasciarlo cadere quando ci saranno le condizioni per affrontare, senza il timore di naufragi parlamentari soprattutto al Senato, problemi più stringenti. Sul merito del provvedimento proposto si potrà ragionare meglio quando saranno note le sue caratteristiche giuridiche, che non sono prive di rilievo perché stabilire che c’è una categoria di cittadini che non gode dei pieni diritti politici in un regime democratico non è affatto pacifico, anche se la campagna manettara pare non rendersene conto.
Sul piano politico, invece, la scelta di Renzi, piuttosto inaspettata, presenta un certo interesse e un profilo abbastanza chiaro già da ora. Il governo, nonostante le pose un po’ rodomontesche, è in una condizione tendente allo stallo. Non ha una base sociale attiva, non ha un sostegno parlamentare sicuro al Senato, si è impantanato per aver perso le relazioni con gli altri gruppi parlamentari sulla questione assai rilevante della riforma costituzionale, che presenta una serie di criticità oggettive. In attesa del responso delle elezioni regionali, che peraltro non sarà comunque decisivo, Renzi cerca di passare la nottata, rinviando la scelta sulle alleanze necessarie per concludere la legislatura o almeno per arrivare alla data fatidica del luglio dell’anno prossimo, quando entrerà in vigore il nuovo sistema elettorale per la Camera. Nel frattempo cerca di limitare la tensione con la sinistra interna al Partito democratico, che si è sentita oltraggiata dalle forme assunte dalla fase conclusiva del dibattito parlamentare sull’Italicum. Riesumare la tematica del conflitto d’interessi, che rinvia al collante tradizionale antiberlusconiano del centrosinistra pre-Renzi – e pure a un’altra èra geologica della politica italiana, va detto – può forse servire a questo scopo, anche perché sembra escludere in prospettiva un ritorno allo spirito del Nazareno. Il fatto stesso però che Renzi debba retrocedere su una battaglia che non è mai stata “sua”, replicando i riti del vecchio centrosinistra che non vinceva, è già un’indiretta ammissione della difficoltà. Inoltre, non è affatto sicuro che la minoranza (e la pubblica opinione educata male per vent’anni), la beva e rinunci a bloccare al Senato le altre iniziative del governo, come quelle sulla riforma scolastica, che deve essere approvata entro giugno per entrare in vigore. Tutto questo ringalluzzisce la minoranza e mette Renzi nella condizione di farsi dettare l’agenda politica. Magari rispolverando un po’ cinicamente, un po’ per tattica, l’antico tabù del conflitto d’interessi.
[**Video_box_2**]Renzi aveva annunciato che il primo tema da affrontare dopo l’Italicum sarebbe stato quello delle unioni civili, ma ora ha ripiegato su un più facile tema antiberlusconiano. Naturalmente è comprensibile il tentativo di gettare un po’ d’acqua sul fuoco delle tensioni interne al partito alla vigilia di una consultazione elettorale, ma se, come sembra, la scelta è quella di prendere tempo per guadagnare spazio, non si capisce perché e come sarà poi possibile riprendere il cammino ritornando al piglio decisionista, specialmente se ci si brucia alle spalle, con la provocazione del conflitto d’interessi, il ponticello della ricostruzione di qualcosa che ricordi lo spirito del Nazareno.