Ma il sindaco Marino deve dimettersi?
La situazione di Ignazio Marino è parecchio complicata. Matteo Renzi più volte ne ha preso le distanze pubblicamente. Gli assessori chiave della sua giunta si sono dimessi o minacciano di farlo. L’inchiesta Mafia Capitale ha terremotato il Consiglio comunale. A tutto questo si aggiungono i problemi di bilancio e il degrado della città. La domanda quindi è: il sindaco di Roma deve dimettersi? Il Campidoglio deve essere commissariato? E perché, esattamente?
«L’onestà non basta, i cittadini chiedono che Roma sia amministrata bene, e se sarà necessario procederemo con lo scioglimento del Comune. Solo Marino può sapere se se la sente di continuare». Questo ha detto solo una settimana fa Maria Elena Boschi a Sky. Maria Teresa Meli: «È chiaro che le dimissioni sono indicate a Marino come la via di scampo. Per consentire al premier di accorpare l’elezione della Capitale con le altre che si terranno la primavera prossima a Milano, Torino, Bologna e Napoli. E il candidato, è ovvio, non sarà Marino» [1].
Fiorenza Sarzanini riassume così i problemi del sindaco: «Di fronte a un’inchiesta come quella condotta dai magistrati della Procura di Roma – che ha portato a contestazioni pesantissime contro consiglieri e funzionari – le istituzioni locali e nazionali avrebbero dovuto mostrarsi salde per prendere quei provvedimenti necessari a dimostrare che il Campidoglio non è stato contaminato. Al di là dei proclami di Marino, moltissimi settori della sua amministrazione appaiono di fatto paralizzati. Il degrado di Roma è evidente e non è soltanto una questione di buche o di sporcizia. Migliaia di pratiche amministrative sono ferme, assegnare nuove commesse pubbliche sembra un’impresa titanica. Anche la concessione dei fondi per l’organizzazione del Giubileo segue strade impervie» [2].
Ad abbandonare il sindaco per ora è stato Guido Improta, assessore ai Trasporti, renziano. Lascerà ufficialmente l’incarico dopo la relazione del prefetto Gabrielli sull’eventuale scioglimento del Comune (entro metà luglio). «Marino ha perso la testa, si è lanciato in una guerra insensata che rischia di portarlo a sbattere», ha detto Improta. Dopo di lui, potrebbe toccare a Silvia Scozzese, assessore al Bilancio, cooptata dall’Anci (l’associazione dei Comuni) nella primavera scorsa per far quadrare i conti e far passare il piano di rientro stabilito dal governo [3].
Nell’inchiesta su Mafia Capitale, il Comune di Roma (ovvero Marino) si è costituito parte civile, ma intanto l’Assemblea Capitolina continua a perdere pezzi. Da ultimo, venerdì ha rassegnato le dimissioni l’ex presidente dell’aula Mirko Coratti (Pd), agli arresti domiciliari per corruzione. Mentre l’ex capogruppo democratico Francesco D’Ausilio, pur non essendo indagato ma solo citato nelle carte della Procura, ha deciso di abbandonare lo scranno da consigliere comunale [4].
Secondo Sergio Rizzo, «il problema principale sta nella mancanza di autorevolezza di Marino e questa carenza si riflette in modo palpabile sul governo di una città che sembra non governata affatto. Ma chi invoca da sinistra le sue dimissioni dovrebbe ripensare a come si è arrivati a questa scelta degli elettori e agli errori gravissimi di cui si è reso responsabile il gruppo dirigente del Pd. Chi le pretende da destra, invece, farebbe meglio ad arrossire per le rovine materiali e le devastazioni morali di cui in cinque anni ha disseminato Roma: non bisogna aggiungere altro» [5].
Roma fa schifo, il blog che dal 2007 racconta con foto, video e segnalazioni dei cittadini il degrado della Capitale, ha pubblicato i “venti punti che stanno costando il posto a Marino”, un manifesto in difesa del sindaco. Dice Massimiliano Tonelli, uno dei titolari del sito: «Marino è matto. Solo un incosciente avrebbe potuto sfidare Caltagirone, il monopolio di Cerroni sui rifiuti e le bancarelle dei Tredicine. In vent’anni non si era azzardato nessuno. La città è in ginocchio e il sindaco ha le sue responsabilità, ma se Renzi lo cacciasse ora farebbe una sciocchezza. Per metterci chi, poi? Non basterebbero Rudolph Giuliani e la Thatcher messi insieme» [6].
Il fatto è che Marino di dimettersi non ha nessuna intenzione. «Non possono costringermi, purtroppo per loro, e non lo farò. Il problema non sono io. Io sono stato pregato di candidarmi, perché altrimenti coi candidati presentati dal Pd avremmo perso Roma. Mi hanno scongiurato, quelli che adesso mi accusano di non essere duttile» [7].
Tecnicamente Marino non può essere cacciato: non esiste la sfiducia per il sindaco. «Me lo spiegò in tempi non sospetti Napolitano, era allora presidente della Camera, quando dopo Tangentopoli si cambiò il sistema elettorale per i comuni». Non si può sfiduciare un sindaco. Per quanti assessori si dimettano, saranno sostituiti [7].
L’unica possibilità concreta per Renzi di mandare via Marino è non approvare il bilancio 2016. Allora sì si potrebbe commissariare il Comune. Troppo tardi, però. Le amministrative saranno in primavera. Nell’anno del Giubileo e della corsa per le Olimpiadi mandare in stallo il Comune di Roma sarebbe difficile da giustificare. E in ogni caso, «sono pronto a ricorrere al Tar», ha fatto sapere Marino [7].
Il 13 luglio saranno già passati quattro mesi dalla proclamazione del Giubileo straordinario e ne mancheranno meno di cinque all’apertura dell’evento, prevista per l’8 dicembre. Ma niente di concreto, per quanto è dato sapere, è ancora stato messo a punto. Nessuna decisione, nessun piano, nessuna organizzazione. C’è da dire che i poteri di coordinamento per il Giubileo sono ufficiosamente stati assegnati al prefetto Franco Gabrielli e non al sindaco, come invece accadde nel 2000 con Francesco Rutelli [8].
Marino gira sempre con un quaderno sottomano (quello attuale è nero con la costola rossa), dove annota minuziosamente nomi, incontri, orari, conversazioni. «Per esempio guardi: il 19 aprile 2015 ho proposto al governo di non versare per Roma neppure un euro per il Giubileo. Non voglio il miliardo e sette che avete dato la volta scorsa, neppure il miliardo e mezzo che avete versato per Expo, ho detto. Non voglio niente. Aumenterà il Pil, con il Giubileo, e posso fare coi nostri soldi. Accendo un mutuo e lo ripago coi proventi. Siamo autonomi, basta che ci aumentiate il patto di stabilità per quest’anno. Facciamo da soli. Mi hanno detto no, vede? Legga. Legga le risposte» [7].
[**Video_box_2**]Le casse del Campidoglio rischiano poi un nuovo buco: la Ragioneria generale dello Stato ha fatto sapere che il salario accessorio pagato dal Comune di Roma ai suoi dipendenti (circa 24 mila) tra il 2008 e 2013 (giunta Alemanno) era illegittimo. Ora la Corte dei conti dovrà decidere se dovrà rientrare di quella cifra erogata, ovvero circa 350 milioni di euro [9].
C’è poi l’ormai storico problema delle buche, del manto stradale disastrato e della sporcizia. Rizzo e Stella: «Non è solo questione di decoro. Sul Comune si abbattono da anni incessanti grandinate di richieste di risarcimento per i danni subiti dai veicoli a causa di buche e voragini. Un migliaio l’anno. Tre al giorno. Una massa tale di pratiche che per sveltirle il municipio capitolino ha pubblicato sul suo sito addirittura un modulo per chiedere il risarcimento conciliativo. Una specie di corsia preferenziale per i danni non superiori a 12.911 euro e 42 centesimi. Costo degli indennizzi annuali per le casse comunali: 20 milioni. Pari quasi alla metà di quanto il Campidoglio spende per la manutenzione delle strade: 45 milioni l’anno» [10].
Ulteriore dimostrazione della situazione della Capitale la troviamo all’aeroporto di Fiumicino. A un mese e mezzo dall’incendio divampato nel Terminal numero tre, i disagi per i viaggiatori non sono finiti. Riaperto qualche giorno dopo il disastro, lo scalo è stato sequestrato e poi dissequestrato, e ora si è deciso di procedere a ulteriori accertamenti sanitari a cura dell’Asl nell’area dei negozi (ancora chiusa) che richiederanno almeno venti giorni. Dal che è facile dedurre che l’aeroporto non tornerà alla normalità prima della metà di luglio, in piena stagione turistica [5].
In più, martedì scorso il cda del Palazzo delle Esposizioni, istituzione culturale del Comune, guidato da Franco Bernabè, si è dimesso in blocco accusando il Comune di inadempienza sugli obblighi finanziari [11].
Concita De Gregorio: «È vero che Marino è un marziano. Completamente estraneo ai giochi di potere interni al Pd. È vero che ha peccato, in questa logica. Non dà udienza a chi la chiede (non ha mai ricevuto Bernabè, raccontano. Assegna incarichi con gare internazionali: agli spagnoli, agli svedesi, persino ai milanesi), non ha mostrato gratitudine al gruppo che ha favorito la sua elezione. Bettini, Morassut, Zingaretti, Meta» [7].
Alessandro Giuli: «Le disavventure del sindaco di Roma potrebbero riempire gli annali delle inadempienze capitoline. Il punto è che non è questo il punto: Renzi vuole abbattere come un cavallo zoppo Marino, per sloggiarlo dal Campidoglio e rifarsi una verginità politica dentro il raccordo anulare, perché teme l’assalto dei pm e della muta di manettari al seguito dell’inchiesta su Mafia Capitale (così detta), perché annusa un’ariaccia di scioglimento del comune e vuole commissariare Roma, mettere in sicurezza il Pd, trovare un sostituto e gettarlo nell’agone elettorale dell’anno prossimo. Non che sia illecito, ma bisogna avere il coraggio di dirla così. E invece il premier si trincera dietro le mancanze, le leggerezze, le debolezze del sindaco alieno, gli scava la fossa senza rendergli l’onore della verità. Miserie della tarda rottamazione» [12].
Apertura a cura di Luca D'Ammando
Note: [1] Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 23/6; [2] Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 26/6; [3] Mauro Evangelisti, Il Messaggero 23/6; [4] Giovanna Vitale, Corriere della Sera 27/6; [5] Sergio Rizzo, Corriere della Sera 27/6; [6] Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 27/6; [7] Concita De Gregorio, la Repubblica 25/6; [8] Alessandro Capponi, Corriere della Sera 23/6; [9] Ernesto Menicucci, Corriere della Sera 19/6; [10] Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 17/6; [11] Mauro Favale e Giovanna Vitale, la Repubblica 24/6; [12] Alessandro Giuli, Il Foglio 20/6.