Perché a Renzi serve un nuovo patto del Nazareno
Il probabile rinvio all’autunno del terzo passaggio parlamentare della riforma costituzionale che abolisce il bicameralismo perfetto segnala una condizione di stallo dell’iniziativa riformista dell’esecutivo che appare più rilevante di quella che si era verificata sulla riforma dell’organizzazione scolastica. Questa volta a minacciare un “Vietnam” parlamentare non è l’irrilevante Stefano Fassina bensì Vannino Chiti, personaggio dal peso politico ben maggiore ed esponente di un gruppo di 25 senatori che hanno presentato una proposta di modifica umiliante per Matteo Renzi, ma che su certi punti potrebbe ottenere una maggioranza trasversale. Si dice che il premier cerchi di uscire dal vicolo cieco con l’appoggio di senatori “volenterosi”, fuorusciti dal Movimento 5 stelle o da Forza Italia. Solo se non riuscirà a mettere insieme una maggioranza raccogliticcia di questo tipo accetterebbe di trattare con la minoranza del suo partito. Ambedue le prospettive, però, avrebbero la stessa conseguenza, quella di rendere il governo ostaggio di soggetti inaffidabili, per giunta in una fase caratterizzata da pericoli consistenti, da quello derivante dalla pressione della speculazione che si attiverà quale che sia la soluzione del rebus greco, a quello derivante dalla sensazione di impotenza sul fenomeno degli sbarchi, alle continue insorgenze di attacchi della magistratura, del tipo di quello che ha riguardato Monfalcone o delle ingerenze indebite della Consulta sul bilancio dello stato.
La riforma costituzionale richiede correzioni non per riequilibrare presunti caratteri autoritari presenti nella legge elettorale, come sostiene la sinistra pd, ma per evitare che un senato delle regioni renda impraticabile qualunque patto di stabilità interno. Se Renzi identifica lì il problema ha tutto l’interesse a trattare con chi condivide questa preoccupazione, il che significa in pratica riaprire il dossier chiuso troppo frettolosamente del patto del Nazareno. Quello che serve è una riforma che semplifichi davvero il sistema decisionale e che trovi un sufficiente consenso non solo nelle aule parlamentari, ma anche nel voto popolare di ratifica referendaria che seguirà l’approvazione. Gli appoggi che Renzi sembra cercare in gruppetti di parlamentari in libera uscita non si rifletterebbero in consenso popolare e si può dubitare anche della lealtà della sinistra interna al Pd che, anche se fossero accettate le sue richieste, difficilmente rinuncerebbe a dare un colpo finale a Renzi nel referendum. Un’intesa con la maggiore forza politica moderata, su temi istituzionali e per soluzioni efficaci, avrebbe più possibilità di superare anche quel passaggio decisivo, e su questo Renzi dovrebbe riflettere seriamente.