Cosiglio superiore dell'ipocrisia
Con un po’ di strombazzi e l’aiuto del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ieri il Csm è riuscito in un capolavoro di ipocrisia: ha creato l’alibi normativo alla propria assoluta e insindacabile discrezionalità nell’indicazione dei dirigenti degli uffici giudiziari d’Italia. A beneficio dei non addetti ai lavori vale la pena di fare una premessa: l’indicazione dei procuratori della Repubblica, dei presidenti dei tribunali, dei procuratori generali e così via (a breve ci sarà una considerevole tornata di nomine, tra cui quella del procuratore della Repubblica di Milano) avviene da sempre, nel parlamentino delle toghe, secondo una logica spartitoria tra le correnti che suona all’incirca così: “Se a MD diamo Milano, allora dovremo dare Torino a MI. Se Unicost ha avuto Firenze, allora bisognerà compensare i Movimenti con altri uffici minori”. Questa logica, questo sistema della spartizione clientelare degli incarichi direttivi tra le correnti della magistratura organizzata, è uno dei malanni più gravi di cui soffre il sistema giudiziario e ha assunto caratteristiche perniciose specialmente negli ultimi vent’anni, da quando cioè le correnti della magistratura si sono completamente scollegate da quegli orientamenti “ideologico-culturali” che caratterizzavano la società italiana del dopoguerra per diventare delle mere lobby di potere interne all’ordinamento giudiziario.
Ebbene ieri, il plenum del Csm ha approvato il nuovo Testo Unico della Dirigenza Giudiziaria. Il provvedimento inserisce ipocritamente dei parametri per l’individuazione dei dirigenti, ma questi parametri “oggettivi” sono in realtà così generici, sono di così aleatoria definizione e vaga precisazione, e privi di gerarchia, che di fatto si trasformano semplicemente in un facile rifugio argomentativo per permettere al Csm di continuare a comportarsi come ha sempre fatto: scegliere discrezionalmente i magistrati che devono ricoprire incarichi direttivi in base ad accordi di spartizione tra correnti. L’unica differenza è che fino a ieri non esistevano riferimenti normativi e il Csm era esposto alle critiche – più che fondate – degli osservatori, degli avvocati e dell’opinione pubblica. Adesso i riferimenti normativi ci sono. Ma sono apparenti. Senza alcuna esagerazione si può dunque dire che il parlamentino dei magistrati, ieri, ha definitivamente stabilito la legalità della clientela. Il ministro della Giustizia Orlando ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione del nuovo testo unico salutandolo con soddisfazione. Peccato. Il governo e il Parlamento possono sempre intervenire (ma non l’hanno mai fatto) per legge primaria e stabilire dei criteri tecnici che non siano strumentali e scardinare così, una volta per sempre, anche il mal costume diffuso che costringe i magistrati alle telefonate di raccomandazione con i capi corrente.