Rai privata o nazarenica. No vie di mezzo
Chi dice Rai dice guai. Ma non così gravi come sogna il berlusconiano Renato Brunetta, convinto che uno scivolone estivo su un voto in Senato (la delega parlamentare al governo in materia di risorse, vulgo: il nuovo canone) sia il prologo di una deflagrazione nella maggioranza, la dimostrazione che gli scissionisti filogovernativi di Denis Verdini non rilevano. Più altre illusioni da bagnasciuga. Non è successo granché, in Aula a Palazzo Madama, e ha ragione il senatore renziano Giorgio Tonini quando dice che l’incidente “non ferma né annulla il percorso positivo del provvedimento sulla Rai, né la sua impostazione. E non mette in discussione una riforma che riguarda soprattutto il modello di governance di Viale Mazzini”.
Stabilito questo, e cioè che nel merito cambia poco o nulla (forse si dilateranno i tempi d’approvazione), c’è però da aggiungere qualcosa sul metodo dell’iniziativa. Il governo è andato sotto per un concorso di assenze, rivalse e leggerezze. Ma sopra tutto è Renzi a non aver saputo spiegare al proprio partito e alle opposizioni la reale natura della “sua” Rai. Se vuole essere un leader riformatore di stampo europeo, la tv pubblica deve privatizzarla, almeno in parte, accompagnando i partiti all’uscio, scrivendo regole chiare e rivolgendosi agli italiani come compagni di viaggio, prima che ai fuoriusciti di questo o quel partito. Se non è in grado di farlo, deve necessariamente affidarsi a una mediazione con gli interlocutori più forti (piaccia o no, il primo di questi è Silvio Berlusconi). Insomma le vie sono due: o una rivoluzione spericolata, o una Gasparri bis e nazarenica. La via di mezzo non funziona.