Se Renzi non ce la fa
Com'è, come non è, in Forza Italia si riparla di grande coalizione
Roma. Non succede, ma se succede bisogna evitare di andare alle urne. E allora la polifonia di Forza Italia, con le due linee, quella più dialogante con Matteo Renzi interpretata da Paolo Romani e quella più esplosiva interpretata da Renato Brunetta, questi opposti impulsi dell’umore entrambi onestamente riconducibili al Cavaliere mobile, finiscono con il convergere: se il governo Renzi si avvita è meglio una grande coalizione che il voto anticipato. Questa l’idea. Un po’ lo ha scritto ieri Alessandro Sallusti sul Giornale di famiglia, un po’ lo dice anche Brunetta, che l’ipotesi l’aveva già buttata lì, nel mucchio, il 20 luglio, intervistato da Repubblica: “La verità è che la rivoluzione copernicana sul fisco, come sugli assetti istituzionali, la fai in due modi: con una maggioranza schiacciante – figlia delle elezioni – o con una grande coalizione alla tedesca. Mica con il patto del Nazareno, che poi traballa, finisce, resuscita”. E certo c’è un po’ di confusione dentro il partito di Silvio Berlusconi, come da manuale, e l’opposizione al governo, diventata più esplicita negli ultimi mesi, convive sempre con segnali contrastanti, sussurri, mezzi sorrisi nell’ombra, accordi di corridoio, specie in Senato, e non solo sulla Rai, in quell’Aula di Palazzo Madama dove la maggioranza è sempre un po’ in difficoltà con i numeri e con la piccola, ma determinante, fronda della sinistra interna al Pd. Da una parte c’è la voce dell’azienda, Mediaset, sempre tendenza filogovernativa, dall’altra ci sono gli umori neri del Cavaliere, che coccola una certa sfiducia nei confronti di Renzi. Ma se il governo fosse in difficoltà sul serio? Non succede, ma se succede…
Giovedì sarà il giorno della riforma della Pubblica amministrazione, il presidente del Consiglio non è ufficialmente interessato ai messaggi in codice che arrivano dall’opposizione berlusconiana, ma si concentra sul ronzio della fronda interna al Pd, e rilancia con spavalderia sulle riforme, il cui calendario viene scandito con ritmo martellante: legge di stabilità dopo l’estate per rendere sostenibile il taglio della tassa sulla prima casa, poi riforma costituzionale del Senato a ottobre. E se non si riuscirà a fare le riforme – questa è la minacciosa promessa – “si va a votare”. Ma con una riforma della legge elettorale incompleta, e un sistema che lascia molte incognite. Per questo dentro Forza Italia si ricomincia a parlare, se non di patto del Nazareno, di un ingresso nel governo. Poco più di fantapolitica, tuttavia, perché la maggioranza tiene, il Pd può contare sulla sua capacità di risolvere al proprio interno litigi e malmostosità, e nel giro più vicino al presidente del Consiglio non si esclude nemmeno che le truppe degli ascari volonterosi, sul modello Verdini, possano anche ingrossarsi di nuovi arrivi. Inoltre una crisi di governo, in ogni caso, passerebbe dalle mani del presidente Sergio Mattarella, alla sua prima vera prova: e lì nessuno sa come si comporterebbe il capo dello stato. Intorno alle inclinazioni del Quirinale ci si interroga come di fronte a un’indecifrabile sfera di cristallo: reincarico a Renzi, nuovo governo con altro premier, elezioni? Tutti strologano, e danno per certo di conoscere i pensieri di Mattarella, ma il presidente è una sfinge persino per i suoi famigliari. E allora i piccoli spasmi contraddittori di Forza Italia intorno alle tribolazioni di Renzi trovano la loro misura in questa incertezza, esprimono forse più una speranza che una precisa inclinazione: comunque sia, meglio non votare.