Lo Scacchiere degli economisti di governo
Non accadeva da anni che il capo del governo e il ministro dell’Economia parlassero quasi in fotocopia lo stesso linguaggio: accade ora con Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan. A dispetto di molte previsioni, e con qualche scorno tra gli antipatizzanti di Palazzo Chigi. Ultimo caso, il taglio delle tasse annunciato dal premier a cominciare da quelle sulla prima casa e sull’Imu agricola (impegno confermato ieri da Renzi all’assemblea della Coldiretti). Parecchi erano pronti a scommettere sul freno di Via Venti Settembre, magari per dare la priorità alla riduzione delle imposte sul lavoro; o verificare i margini di manovra in sede europea; o ancora per attendere il consolidarsi dei primi segnali sul pil. Padoan ha smentito tutti, “coprendo” Renzi su tutta la linea, dunque non limitandosi a mettersi all’opera per reperire le risorse necessarie e trattare con Bruxelles. Anzi: per il ministro è giusto tagliare subito le tasse sulla casa “in quanto ciò ha un impatto positivo sulla fiducia e rimette in moto il settore immobiliare”. Di più, dice che sta arrivando una ripresa vera, non limitata ai decimali, e che essa non dipende solo dai più volte citati fattori esterni, “ma è di buona qualità, viene dal ritorno dei consumi, quindi si può parlare di crescita”.
Cosa che più conta, Padoan ha di fatto già messo la firma sotto la revisione al rialzo del pil di fine anno (dovrebbe attestarsi allo 0,9 per cento) e garantito che la manovra espansiva di Renzi, superiore ai 25 miliardi, dovrebbe ottenere il via libera europeo, sfruttando altri margini di flessibilità. Chi non ricorda le incomprensioni tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, che arrivava a Palazzo Chigi con le misure blindate e ignote ai più (compreso il Cav.), e la sostanziale assenza del ministro negli ultimi mesi di agonia del centrodestra? Ed è noto che Mario Monti tenne l’interim dell’Economia e solo in extremis nominò l’ex tremontiano Vittorio Grilli. Quanto all’esecutivo di Enrico Letta, Fabrizio Saccomanni si produsse in estenuanti quanto infruttuose mediazioni con la Commissione europea, la Banca d’Italia e il Quirinale. Anche Padoan era entrato nel governo con la benedizione di Giorgio Napolitano, ma poi ha rapidamente assunto una dimensione autonoma. Benché appunto in linea con Palazzo Chigi, come del resto vale in ogni altro esecutivo europeo e non. Sulla difficile convivenza Renzi-Padoan erano fioccate ogni sorta di scommesse, forse anche per la lontana esperienza del secondo come consigliere del governo di Massimo D’Alema: dal trasferimento a Palazzo Chigi della Ragioneria dello stato (repubblica autonoma di Via Venti Settembre) alle volte che il partito di Repubblica ha dato per imminenti le dimissioni di un Padoan descritto in fiero dissenso con Renzi. Ultima proprio dopo l’annuncio renziano del taglio delle tasse.
[**Video_box_2**]Si era a luglio, e – ironia del caso – in quei giorni il ministro si stava occupando per conto del premier di velocizzare il ribaltone alla Cassa depositi e prestiti. Sarà per la missione di Padoan, che non è mai stata solo tecnica ma anche politica, sarà anche perché sulla sponda renziana non è mai decollata la struttura di consiglieri economici dalla quale sono in uscita Andrea Guerra, l’economista esperta di credito Carlotta De Franceschi, e probabilmente anche Tommaso Nannicini, lo studioso del Jobs Act e della delega fiscale. In realtà questo staff non ha mai costituito un vero ostacolo tra Renzi e Padoan. Certo, c’è chi osserva che in Gran Bretagna a volte è George Osborne a dare la linea a David Cameron sui tagli alla spesa pubblica. Ma il cancelliere dello Scacchiere ha un’autonomia istituzionalmente garantita – è la terza più antica carica della storia inglese – e alloggia anche lui a Downing Street, né la Corona mette becco. E neppure l’Europa. In prospettiva, un George Osborne potrà tornare utile anche a Renzi, più di tanti consiglieri. Intanto, si tenga stretto Padoan.
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