Una lezione francese per il Cavaliere
Silvio Berlusconi si mostra incuriosito dalla lezione francese e dunque osserva con un misto di dispetto (non è certo un suo amico) e di compiacimento (gli assomiglia per tante ragioni) la resurrezione elettorale di Nicolas Sarkozy: “Se ce l’ha fatta lui, figurarsi io”. E allora non si può non far notare al Cavaliere che Sarkozy ha vinto perché ha isolato la signora Marine Le Pen. E insomma il Sarkozy redivivo non ha stretto un patto dei tre tenori con il populismo momentaneamente gonfio di voti, come invece Berlusconi sta facendo con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Né tanto meno ha mai pensato di lasciar guidare la coalizione di centrodestra alla signora Le Pen. Certo, il Cavaliere sostiene che Salvini non è Le Pen. E quando anche i suoi collaboratori gli fanno delle obiezioni sull’alleanza, risponde spiegando che la Lega non è il Front national ma una forza regionalistica con la quale lui ha già governato per tanti anni (ed è vero).
Tuttavia, come ben sa Berlusconi, lui governò con il sigaro di Umberto Bossi, non con la felpa e la ruspa di Salvini. E insomma lui fu socio e sodale di un leader pragmatico, convinto che la funzione sociale e politica della Lega fosse quella di governare la società e non solo di spararla grossa. Bossi voleva riforme, ministri, potere, e ha sempre temuto di galleggiare all’opposizione. Ecco. Salvini non è Bossi. E in Lombardia Roberto Maroni l’ha già capito, al punto che fa il contrario di ciò che vorrebbe il nuovo capo della Lega. E insomma, se c’è una lezione francese per Berlusconi, è che Salvini va certamente accolto nel centrodestra ma il salvinismo va respinto, non legittimato. Il rischio è noto e Berlusconi lo sa bene: rincorre il modello Le Pen non significa essere più attraenti, significa solo regalare voti a chi semplicemente urla un po’ di più.