L'Italia che va a destra
Che sia “grave”, come recita un comunicato dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, per una città come Milano “antifascista, democratica e multietnica che ha dimostrato di saper accogliere chi fugge dalla guerra e dalla fame”, la convocazione di un convegno dell’Enf – il gruppo del Parlamento europeo di cui fanno parte la Lega nord e il Front National – dal titolo “Più liberi più forti”, è un’evidente forzatura di una retorica attardata ma resistente, e sovente irrispettosa della libertà di parola altrui. Meglio prendere atto che se un fatto politico di questo tipo avviene, per la prima volta, nel nostro paese qualche indicazione da trarne forse c’è. Le difficoltà e le tensioni politiche e sociali che stanno scuotendo l’Europa – non solo sul fronte dell’immigrazione e del terrorismo, ma dell’intera struttura dell’Unione – sono note. Per limitarci a quanto sta accadendo in Italia ci sono almeno due aspetti interessanti. Figurare in veste di padrone di casa, per Matteo Salvini leader di una Lega 2.0 che ha mutato pelle e Dna puntando sul nazionalismo di destra e antieuropeo continentale, è un attestato politico, se non un successo di immagine, che verrà prima o poi testato dagli elettori. Nel desolante paesaggio dopo la catastrofe della destra (centro-destra) italiana, è chiaro che Salvini assume un ruolo più centrale e definito.
La dissoluzione magmatica di Forza Italia, il cui attore politico di maggior rilievo, mocassini blu o meno, sta ormai nell’area renziana e l’irrilevanza del centralismo alfaniano lasciano il campo libero. La domanda da farsi è se il populismo venato di xenofobia e a forte rischio di irrilevanza economica di Salvini (“un’Europa diversa fondata sulle comunità”, il suo saluto di ieri) possa o debba essere l’unica proposta a destra, o se debba emergere un diverso progetto di stampo liberal-conservatore. Stiamo provando a fare un po’ di scouting, al Foglio: abbiamo iniziato ieri puntando i riflettori sulle idee liberiste di un’economista come Serena Sileoni. Ma è ovvio che non basta un volenteroso casting. L’altro punto è che si resta in attesa, abbracci con Marine Le Pen a parte, di capire quale status di partito di governo, e di possibile ruolo di pivot della destra, la Lega intenda darsi. Mercoledì per esempio, alla Capigruppo al Senato sul ddl Cirinnà la Lega ha annunciato che è pronta a ritirare il 90 per cento dei suoi emendamenti (chi si ricorda il generatore automatico di emendamenti di Calderoli?). Dopo aver attaccato Elton John e detto la qualunque, l’atteggiamento ondivago su un tema che all’elettorato conservatore interessa molto, è un po’ poco per accreditarsi come nuova forza centrale della destra. Così come gli strilli sulla crisi delle banche non bastano per presentarsi in Europa come un’alternativa alle idee del governo Renzi.