No, la stepchild adoption non è un diritto
L’adozione automatica del figlio naturale di un membro della coppia omosessuale da parte dell’altro è stata introdotta in modo un po’ surrettizio nella legge sulle unioni civili, e poi è diventata il punto più difficile da far accettare. Si tratta di un “diritto” che, in una forma così immediata, non è riconosciuto ai coniugi, appunto perché nelle procedure di adozione è necessario un filtro a garanzia dell’interesse del minore. Quello che viene definito indebitamente un diritto è quello delle coppie infertili ad avere un figlio, in un modo o nell’altro.
E’ qui che si inserisce l’altro pericolo, quello di promuovere la pratica della maternità surrogata, l’utero in affitto, che è consentita all’estero ma vietata in Italia. Il rifiuto ripetuto a stralciare questo aspetto così controverso dalla legge, che avrebbe avuto in questo modo meno ostacoli, significa che questo ha assunto un valore emblematico. Anche per questo è comprensibile che susciti un confronto aperto, sia in Parlamento, sia, nel caso in cui la norma venga approvata, in una assai probabile verifica referendaria. Un conto è superare le discriminazioni che colpiscono la condizione omosessuale, un altro è affermare come diritto una pretesa infondata.
[**Video_box_2**]L’assistenza al minore può essere assicurata da istituti come l’affido, quindi l’argomento che viene impiegato lamentando una insufficiente tutela del minore è assolutamente capziosa. Non è chi si oppone a questa misura spropositata a mettere in discussione il riconoscimento delle relazioni affettive e delle esigenze di regolarizzazione di rapporti permanenti. E’ al contrario chi vuole insistere su un punto inessenziale e per certi aspetti provocatorio a contrarre l’area del possibile consenso alle unioni civili. E a una sfida lanciata in modo così spavaldo è giusto rispondere altrettanto francamente.