La variabile Bertolaso nel caos di Roma
Solo qualche giorno fa Francesco Rutelli scherzava: «Vedo che i candidati sindaci sono un po’ tutti i miei: Giachetti è stato mio capo di gabinetto in Campidoglio, Bertolaso mio vice-commissario al Giubileo, chi ci manca ancora?». In effetti, dopo settimane di incertezze, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega hanno fatto sapere che Guido Bertolaso è il loro uomo per Roma [1].
Per dieci anni capo della Protezione civile, sottosegretario nell’ultimo governo Berlusconi, «Bertolaso è uomo vicinissimo a Gianni Letta, sempre ha goduto della fiducia del capo di Fi che l’ha evocato, voluto e alla fine convinto e imposto agli alleati dopo un lavoro delicato di mediazioni incrociate» (Paola Di Caro) [2].
Ricorda Carmelo Lopapa che «un tempo neanche tanto lontano il Cavaliere voleva farne il coordinatore nazionale di Forza Italia. Per tentare di ricostruire il partito, come la sfortunata L’Aquila, dalle macerie. All’ex sottosegretario, oggi Berlusconi ha promesso un suo impegno diretto (anche finanziario) in campagna elettorale, la possibilità di dar vita a una lista civica e il pieno sostegno dei tre partiti» [3].
Nell’agosto 2012, intervistato da Malcom Pagani: «Berlusconiano non lo sono mai stato. So che riderete, ma i miei amici più cari sono di sinistra, a volte estrema. Stimo Berlusconi, non l’ho mai votato» [4].
Bertolaso aveva tentennato nelle settimane scorse sia per ragioni personali – la nipotina malata in cura a Londra, ora in via di miglioramento – sia per le perplessità che il suo nome aveva suscitato soprattutto in Giorgia Meloni [5].
La stessa Meloni, che aveva già rinunciato a correre per la carica di sindaco perché s’è trovata incinta proprio in questi giorni, la scorsa settimana aveva annunciato di avere il nome giusto per la Capitale, un nome di donna, «un nome fortissimo, ma non ve lo dico se no me lo bruciate». E il nome poi, che era quello di Rita Dalla Chiesa, è stato effettivamente bruciato nello spazio di un mattino [6].
Prima di accettare la candidatura, intervistato da Ernesto Menicucci, Bertolaso aveva detto: «Salvini odia Roma, non penso che qualcuno ne dubiti. Gli fa comodo puntare su un candidato debole come Marchini, che non cambierà le cose» [7].
Ferruccio Sansa: «Tipo complesso, Bertolaso: lineamenti e fisico da uomo di scrivania, ma sicurezza incrollabile e modi asciutti. Il curriculum: 56 anni, figlio di un generale di Squadra Aerea pluridecorato, nasce medico esperto di malattie tropicali. Lavora per la Farnesina e per l’Unicef, compie missioni in Africa. Poi la chiamata della politica come capo dipartimento della Protezione Civile. A volerlo è il Governo Prodi. Quindi la parentesi del Giubileo con l’etichetta di uomo di Rutelli. Un anno dopo rieccolo alla Protezione Civile, voluto, però, dal governo Berlusconi. Un crescendo. Si occupa dell’epidemia di Sars, frane a Cavallerizzo, rifiuti in Campania (di nuovo voluto da Prodi), area archeologica romana e terremoto in Abruzzo. Arriva perfino ad Haiti per il terremoto. Le canta a tutti, anche agli Stati Uniti e si becca una risposta pepata da Hillary Clinton» [8].
L’uomo arrivò a essere molto potente. Scriveva Mariano Maugeri nel 2008: «Nelle sue mani una concentrazione di poteri senza precedenti: esercito ai suoi ordini, prefetti di ferro che scattano come reclute, Palazzo Chigi costantemente mobilitato, l’intera macchina della Protezione civile in pugno. Ora non ci sono più alibi, a parte la magistratura. Discariche, differenziati e termovalorizzatori in trenta mesi. E poi diventerà San Guido per tutti» [9].
La candidatura di Bertolaso ha un primo ostacolo, Alfio Marchini. Scrive Fausto Carioti: «Marchini è in pista da anni, ha l’appoggio di alcune sigle di centrodestra e probabilmente anche quello occulto di un pezzo di Forza Italia. Pure se corre da solo è accreditato del 10-12% dei voti. A Roma, messi insieme, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega valgono tra il 20 e il 23% dei voti. La morale è che Marchini e Bertolaso promettono di cannibalizzarsi a vicenda» [10].
C’è anche Francesco Storace in corsa. Per far capire il clima, la prima pagina di sabato scorso del suo Giornale d’Italia titolava: «Berlusconi punta su Bertolaso, campagna elettorale col codice penale» [3].
In effetti i dubbi su Bertolaso avanzati da molti nel centrodestra riguardano soprattutto il rischio che la sua situazione giudiziaria lo renda attaccabile in campagna elettorale. È coinvolto infatti in due procedimenti. Uno è il «Grandi rischi bis», parente di quello che aveva messo sotto accusa i sei geologi incapaci di prevedere la grande scossa dell’Aquila: condannati in primo grado, assolti tutti e sei in secondo, un esito che molto probabilmente sarà identico anche per Bertolaso, che comparirà in aula all’Aquila il 4 marzo, due giorni prima delle primarie romane del Pd. È accusato di omicidio colposo plurimo. Un altro procedimento è quello iniziato per colpire la cosiddetta cricca degli appalti al G8 dell’isola Maddalena (è già uscito indenne dalla faccenda della massaggiatrice che gli avrebbe reso favori sessuali in un centro sportivo romano) [6].
«Sono stato a capo della Protezione civile fino a quando l’ho deciso io. E ne sono uscito come ho deciso io: a testa alta e con le pezze al culo» (a Romana Liuzzo, nel 2010) [11].
Scrive ancora Carioti: «Bertolaso conosce la città, è abituato a fronteggiare le emergenze (e Roma è un’emergenza continua) e soprattutto non è mai stato candidato per nessun partito, condizione ormai indispensabile per presentarsi agli elettori con qualche credibilità. In circostanze diverse sarebbe stato il candidato perfetto. Oggi invece non lo è» [10].
Stefano Folli: «Roma poteva essere il laboratorio politico del centrodestra. Il voto comunale come occasione per delineare non tanto nuove alleanze, quanto una rinnovata classe dirigente. Ossia una destra post-berlusconiana capace di definire la propria identità. In fondo tutti i sondaggi indicano questo schieramento oltre il 30% nel paese: a patto, s’intende, che i diversi segmenti trovino una seria intesa, non limitandosi a inseguire suggestioni populiste. A Roma il palcoscenico appariva più che favorevole per avviare l’opera di ricostruzione di quel pianeta dissestato. Serviva lungimiranza, intelligenza politica e un po’ di fantasia. Viceversa il centrodestra è riuscito a inanellare una serie davvero notevole di errori e contraddizioni» [12].
Così, nel giorno in cui sono tramontate le primarie del centrodestra, sono invece iniziate quelle del Pd: venerdì è partita infatti la corsa dei sei candidati che si sfideranno il 6 marzo: Roberto Giachetti, Roberto Morassut, Stefano Pedica, Domenico Rossi, Gianfranco Mascia e Chiara Ferraro, la ragazza autistica 24enne [5].
Il M5s invece non ha ancora scelto il candidato ma ha votato i tre punti del programma per Roma. Votazione online: la mobilità e la manutenzione delle strade, scelta dal 23 per cento dei votanti (1.917 preferenze); la trasparenza e lo stop agli sprechi per l’8 per cento (1.520 preferenze); e l’emergenza rifiuti e la cura del territorio per il 16 per cento (1.361 preferenze). Hanno partecipato in 2.724 sui 9 mila iscritti residenti a Roma. Meno di uno su tre [13].
[**Video_box_2**]Secondo Folli «riproporre oggi il nome di Bertolaso risponde a una logica di mera sopravvivenza con il sapore del passato. Serve a impedire che Giorgia Meloni, depositaria nella capitale di una certa quantità di voti, presenti una candidatura di rottura che confermerebbe il caos in cui versa l’arcipelago ex berlusconiano. Si è scelto un candidato “a perdere”, in attesa di giocare le carte migliori al ballottaggio. Ma i voti del centrodestra peseranno solo nel caso in cui ad accedere al secondo turno sarà Marchini. Nell’ipotesi in cui la partita fosse fra Giachetti, Pd, e il Mr.X dei 5 Stelle, la sconfitta dell’alleanza berlusconiana sarebbe netta e inappellabile» [12].
Il dato è che, al momento, dalla partita romana può uscire qualsiasi risultato. Dell’Arti: «D’altronde Bertolaso e Giachetti hanno lavorato insieme per Rutelli all’epoca del Giubileo. Il tempo rimescola sempre le carte, e magari a Giachetti andranno anche un po’ di voti di destra e a Bertolaso un po’ di voti di sinistra» [6].
Apertura a cura di Luca D'Ammando
Note: [1] Giovanna Vitale, la Repubblica 13/2; [2] Paola Di Caro, Corriere della Sera 13/2; [3] Carmelo Lopapa, la Repubblica 13/2; [4] Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 5/8/2012; [5] Manuela Perrone, Il Sole 24 Ore 13/2; [6] Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 13/2; [7] Ernesto Menicucci, Corriere della Sera 13/2; [8] Ferruccio Sansa, il Fatto Quotidiano 13/2; [9] Mariano Maugeri, Il Sole 24 Ore 3/6/2008; [10] Fausto Carioti, Libero 13/2; [11] Romana Liuzzo, Panorama 12/11/2010; [12] Stefano Folli, la Repubblica 13/2; [13] Il Foglio 13/2.