Sulla guerra in Libia Renzi gioca con le parole
Il premier nega una prossima "invasione" della Libia, che però nessuno ha messo in programma, ma non potrà temporeggiare per troppo tempo. Le sue dichiarazioni di oggi gli peseranno molto domani quando dovrà prendere le decisioni difficili e vere.
Matteo Renzi spiega che l’Italia non invaderà la Libia, così i pacifisti stanno tranquilli e i giornali possono scrivere che non ci sarà un intervento italiano. Naturalmente gioca con le parole. Nessuno può pensare di “invadere” un paese con qualche migliaio di soldati, quella che serve è un’operazione rivolta specificamente contro i raggruppamenti legati all’Isis, in collaborazione con quel che resta o quel che si può mettere insieme delle forze di sicurezza fedeli a quello che viene chiamato un po’ enfaticamente governo libico. L’operazione non sarà semplice, i contorni della collaborazione con evanescenti autorità locali sono assai complessi, ma tutti sanno che prima o poi, più prima che poi, sarà necessario.
La cautela e la preparazione accurata di una missione pericolosa sono indispensabili, ma non possono essere camuffati con dichiarazioni che sembrano esprimere una specie di volontà di depistaggio. Soprattutto se si vogliono evitare fughe in avanti degli alleati occidentali, le cui conseguenze sarebbero comunque pagate dall’Italia, è necessario esercitare una leadership diplomatica, politica e militare. Non c’è ragione di dare ai nemici il vantaggio di essere informati in anticipo, ma non si può nemmeno ciurlare nel manico con l’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Quando si darà il via all’intervento, tutte le dichiarazioni precedenti peseranno come un macigno e diventeranno la base per una formidabile campagna pacifista. Renzi forse spera di poter procrastinare questa scelta cruciale a una data che non preceda una scadenza elettorale, ma tra le amministrative di giugno e il referendum autunnale quella data è difficile persino da trovare. D’altra parte è difficile che i terroristi islamici abbiano la compiacenza di calibrare le loro aggressioni sul calendario politico italiano. Ormai è evidente che ci sarà un’azione per cacciare lo Stato islamico da Misurata: meglio se con la partecipazione e la guida italiana – come vorrebbero gli americani – ma se l’Italia continuerà a tergiversare ci sono altri che non vedono l’ora di scavalcarci. Ammonire che l’intervento francese di cinque anni fa è stato alla base del disastro attuale ha senso solo se si è in grado di fare meglio. Che si tratti di una responsabilità da non assumere a cuor leggero è evidente, ma nascondere la testa sotto la sabbia non serve a niente.
[**Video_box_2**]E’ in gioco un interesse nazionale indiscutibile, sotto tutti i profili, da quello geopolitico a quello economico a quello della autonomia nazionale. Al governo spetta l’onere di agire in modo conseguente per difendere quell’interesse e quel ruolo: il presidente del Consiglio lo sa benissimo e per questo dovrebbe smetterla di fare il pesce in barile, anche perché poi pagherà con gli interessi tutte le piccole furbizie mediatiche di queste ore.