La guerra in Libia non deve essere un tabù
"Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità per la nostra sicurezza e fare attenzione alle minacce dirette per il nostro Paese". Queste minacce arrivano dall'altra sponda del Mediterraneo, dalla Libia. E le perplessità sull'andamento del processo di formazione di un governo unitario che possa stabilizzare la zona e respingere l'avanzata dello Stato islamico, preoccupa l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che mercoledì in Senato ha spronato i senatori a ragionare sul fatto che ormai "non possiamo accettare l'idea che il ricorso alle armi, nei casi previsti dallo Statuto delle Nazioni Unite, sia contrario ai valori e alla storia italiana. Generare l'illusione che non ci sia la possibilità di intervento con le forze armate in un mondo che ribolle di minacce, sarebbe ingannare l'opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha più ragione di essere nel mondo di oggi".
L'ex capo dello stato è così intervenuto nel dibattito politico, per ora poco decisionista, che in questi giorni ha visto esprimersi il presidente del Consiglio Matteo Renzi, prima in modo molto secco a proposito di un non intervento, "a fare l'invasione della Libia con cinquemila uomini l'Italia, com me presidente, non ci va. Non è un videogioco", salvo poi ricordare, durante il vertice a Venezia di martedì con il presidente francese François Hollande, che il "tempo a disposizione" dei libici "non è infinito".
Attesa quindi, ma con un limite temporale preciso che dipende dall'autorizzazione a procedere "di un governo legittimo", come ha detto nella mattinata di mercoledì il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: "Il governo non si farà trascinare in avventure inutili e perfino pericolose per la nostra sicurezza nazionale. Non è sensibile al rullar di tamburi e a radiose giornate interventiste ma interverrà se e quando possibile su richiesta di un governo legittimo".