Parlare a Obama per agire in Libia
La visita del presidente del Consiglio negli Stati Uniti (da ieri al 1° aprile) è l’occasione per cercare di migliorare la percezione internazionale dell’Italia, e questo Matteo Renzi sa farlo, ma anche per mettere a punto col principale alleato una strategia a medio termine per contrastare i due pericoli che incombono su di noi dalla Libia: il terrorismo islamico e i flussi incontrollati di migrazione. Si tratta di fenomeni tra loro connessi, anche se naturalmente sarebbe semplificatorio considerarli identici, e richiedono per essere affrontati un controllo efficace delle coste della Cirenaica e della Tripolitania.
America e Italia hanno opinioni simili sulla necessità di identificare obiettivi precisi per un intervento in Libia, che non possono essere surrogati da bombardamenti sporadici non inseriti in una strategia complessiva. Se non si vuole che questo approccio ragionevole si tramuti in attendismo, che ragionevole non è – specialmente ora che la rotta africana delle migrazioni sta ridiventando la più consistente – è necessario definire un progetto concreto e attuabile, per poi realizzarlo. L’ipotesi di affidare la soluzione delle due emergenze a un governo di unità nazionale libico è una pia illusione. Tutto quello che si può fare per semplificare, e ove possibile razionalizzare il sistema di potere interno alla Libia attenuando le contrapposizioni oggi dominanti tra chi esercita un certo controllo su specifiche aree e tribù locali, è benvenuto. Ma per esercitare un controllo efficace sulle coste è inevitabile che una coalizione internazionale metta il piede a terra. Più sarà preciso l’obiettivo, dalla distruzione delle centrali dei mercanti di schiavi all’assedio delle zone sotto controllo di terroristi e loro alleati, meno pericoli correranno i militari in missione, anche se naturalmente non è possibile evitarli del tutto.
Su tutto ciò un’intesa impegnativa tra Italia e Usa è essenziale, sia per evitare le fughe in avanti degli alleati, sia per assicurarsi un’indispensabile cooperazione dei paesi di frontiera, dall’Egitto alla Tunisia, ma anche per identificare tempi e modi dell’intervento. Anche se è al termine di un mandato che è eufemistico definire poco brillante, Barack Obama ha interesse a concluderlo con un successo della coalizione antiterroristica a guida occidentale, anche per confrontarsi con quelli innegabilmente ottenuti da quella a guida russa. L’Italia, che per evidenti ragioni geopolitiche ed economiche è il principale interlocutore in quest’area, ha la possibilità di fornire le linee guida su cui verificare un’intesa operativa, e Renzi farebbe bene a non farsi sfuggire la possibilità di definirne i contorni nel corso degli incontri di Washington. Servirebbe anche per comunicare quell’immagine di affidabilità e serietà dell’Italia alla quale tiene tanto.