Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (foto LaPresse)

Chi tifa nel Pd per il Lodo Foglio

Redazione
Tre mosse contro l’assedio: referendum, voto anticipato e rivoluzione sulle tasse, a costo di sforare il deficit. Da Empoli: “Serve uno choc”. Gori: “Giusto il voto anticipato”. D’Alfonso: “Urne nel 2017”. Marini: “Sì, sforiamo il deficit”

Il punto è quello che il Foglio ha messo in evidenza negli ultimi due giorni ed è lineare e crediamo anche piuttosto chiaro. C’è una piena che può travolgere Renzi e senza uno scatto, una nuova formula, un nuovo schema, uno choc, senza una grande mossa che potrebbe ridare slancio al renzismo di governo facendolo uscire rapidamente dal clima oggettivo di assedio, il futuro potrebbe essere meno radioso di quello immaginabile fino a qualche tempo fa. Che fare, dunque?

 

Ieri il direttore di questo giornale ha suggerito un lodo Foglio per la salvezza di Renzi e il percorso prevede tre tappe: trasformare il referendum costituzionale in un’occasione per superare i vecchi steccati del Pd, viaggiare dopo il referendum di ottobre verso il voto anticipato del febbraio 2017 per capitalizzare il consenso e costruire una campagna elettorale attorno al tema di una grande rivoluzione sulle tasse (taglio del venti per cento di Ires e venti per cento di Irap) anche a costo di sforare per tre anni il rapporto tra deficit e pil, come fece nel 2003 la Germania di Gerhard Schröder. E’ un’idea fattibile? E’ un’idea possibile? E’ un’idea che stuzzica davvero l’animo del Pd e del suo segretario? Giuliano Da Empoli, consigliere di Renzi e presidente di Volta, think tank ribattezzato proprio da questo giornale come l’Aspen renziano, pensa che in una fase delicata come questa potrebbe essere utile “uno choc che ridia slancio al presidente del Consiglio e che sia coerente con il percorso fatto finora”. “Il referendum – sostiene Da Empoli, già assessore alla Cultura del Renzi sindaco di Firenze – è un passaggio oggettivamente cruciale che servirà a calibrare meglio l’identità del Pd, a riportare il confronto sul merito e a chiarire definitivamente se la direzione imboccata dal presidente del Consiglio è giusta oppure no. Sì o no, appunto. Per il resto condivido l’idea di una frustata fiscale all’economia, da accompagnare con un nuovo modello di produttività da consegnare al paese, anche forzando la leva del rapporto deficit-pil. Faccio mie le parole che ho ascoltato qualche giorno fa a un incontro ristretto organizzato dal nostro think tank a cui ha partecipato Jason Furman, capo dei consiglieri economici di Obama: è arrivato il momento di mettere meno accento sul debito e di pensare più a come rimettere in moto la macchina produttiva del paese, e a certe condizioni, con un percorso chiaro, è evidente che si potrebbe anche ragionare su una nuova intesa per superare per qualche anno il rapporto deficit-pil. Sulle elezioni, invece, non credo sia quello lo scenario giusto. Se il referendum costituzionale sarà positivo il governo avrà la possibilità di stabilizzarsi e proprio per realizzare lo choc fiscale ha necessità di andare avanti. Se il referendum dovesse andare male, cosa a cui francamente non credo, cambierebbe tutto e le elezioni non potrebbero che essere più vicine”.

 

Con altre argomentazioni, d’accordo con il lodo Foglio è anche il professor Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, secondo il quale però vi è un paradosso nella proposta del nostro giornale: “Per vincere le elezioni Renzi dovrebbe fare quello che dice il Foglio ma al tempo stesso potrebbe farlo solo dopo avere vinto le elezioni. Per un simile programma gli servono infatti gruppi parlamentari fatti a sua immagine e somiglianza, senza più gente che pensi che la magistratura sia il guardiano della moralità o che abbassare le tasse significhi fare un regalo ai ricchi”.

 

Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, super renziano, condivide l’idea che “serva un colpo di reni, per non finire impantanati/logorati e per rendere effettivo, vero, il cambiamento di cui il paese ha bisogno per tornare a respirare” e per questo dice di “condividere anche i tre step del Foglio, ma con qualche distinguo”. “Uno, bisogna a tutti i costi vincere il referendum. E’ davvero la sfida tra chi vuole una democrazia che decide e l’Italia del no, bloccata nel suo immobilismo. Non mi convince invece l’idea che ne debba nascere una forza politica ‘altra’ rispetto al Pd. Non c’è bisogno di nuovi contenitori, soprattutto se (step 2) si va poi a elezioni, a rinnovare un Parlamento (e una rappresentanza parlamentare democratica) che oggi rappresenta equilibri politici in larga misura superati. Tutto ciò è, però, strumento. Il fine è una forte spinta riformista per il rilancio del paese. E qui ci sta anche lo step 3 del Lodo Foglio, seppure esagerato e da integrare. Temo che un taglio di 20 punti di Irpef e altrettanti di Irap sia un po’ una sparata… Ma la direzione è per forza quella, finalizzando uno sforamento controllato e temporaneo del deficit (lo Schröder del 2003 è l’esempio giusto) a un doppio intervento: una riduzione delle tasse che ‘si faccia sentire’, per le famiglie e ancor di più per le imprese; e accanto a questa un investimento epocale (e stabile) sulla formazione e sulla ricerca, accompagnato da potenti incentivi per gli investimenti destinati alla modernizzazione del nostro apparato produttivo: un ‘piano Marshall’ dell’innovazione, con al centro l’istruzione tecnica, l’università, la ricerca e in definitiva il capitale umano, i nostri giovani e quelli di talento che l’Italia (qualcuno si studi la “30 per cent rule” adottata dall’Olanda) deve a tutti i costi riuscire ad attrarre”.

 

Da posizioni diverse, e meno renziane, condivide il Lodo Foglio anche il governatore dell’Umbria, Catiuscia Marini, area giovani turchi. “Dello schema condivido in particolare tre cose: abbassare le tasse; mettere in atto una politica espansiva anche facendo leva sul debito come succede negli Stati Uniti; accettare, per le stesse ragioni per cui Macron in Francia ha lasciato il suo partito, un nuovo soggetto politico che nasca dal referendum e dalle esperienze che si andranno ad aggregare. Sulle elezioni anticipate non so ma so invece che su tutto il resto dello schema il presidente del Consiglio potrebbe avere l’aiuto concreto di alcuni presidenti di regione che non aspettano altro di mettere a frutto la loro cultura di governo. Io presiedo il gruppo socialista al Comitato delle regioni dell’Unione europea e posso confermare che mai come oggi il tema di una innovazione nella cultura politica riformista e socialista europea c’è tutta. A Renzi dunque dico: siamo pronti anche da un punto di governo regionale a spingere il processo riformatore, cambiando anche quello che potremmo definire il modello regionale”.

 

A sottoscrivere il Lodo Foglio è anche un altro presidente di regione, Luciano D’Alfonso, governatore dell’Abruzzo, sempre del Pd. D’Alfonso dice di essere favorevole allo schema proposto da questo giornale. “Guardo con favore alla strategia del Lodo Foglio. Sono più cauto sulla locuzione ‘per la salvezza di Renzi’ perché ritengo che il presidente del Consiglio abbia in sé e attorno a sé tutti gli anticorpi per resistere alle pressioni future. Anche io però intravedo il rischio di una palude data dai fautori della conservazione e del ‘no’ a prescindere che avvelenano la politica italiana. Detto questo, è evidente che le tre mosse prospettate – referendum, rivoluzione sulle tasse ed elezioni anticipate – possono portare a una tabula rasa che segnerebbe l’inizio di una nuova epoca. L’opera riformista progettata e in parte significativa realizzata finora da Renzi – continua D’Alfonso – ha bisogno di una nuova macchina. Il veicolo c’è, la direzione da prendere è chiara ma ci vuole un motore nuovo di zecca. Quello attuale è obsoleto, e il referendum costituzionale può essere decisivo nell’imprimere una svolta a questo new deal. Ridisegnata la struttura dello stato, è il caso di immettere carburante fresco: un nuovo modello di tassazione, che liberi le energie finora ingabbiate dell’imprenditoria nazionale e che accenda di sacro fuoco la prossima legge di Stabilità. Se l’economia riparte forte con l’abbattimento delle tasse, il consenso segue a ruota. Il capitolo elezioni anticipate è lo step fondamentale. Resistenze dentro e fuori il Pd imbrigliano il disegno riformatore: da presidente di Regione, da cittadino e da membro del partito dico che non se ne può più. Via i lacci e lacciuoli che stringono il piè veloce governativo e spazio al passo da bersagliere con cui era iniziata questa legislatura. Se questo è il Lodo Foglio, lo sottoscrivo. Ci metto la faccia e anche l’esperienza politica accumulata in questi anni. Perché l’unica rivoluzione cui guardo con favore è quella dei fatti e di chi vuole lavorare per crescere e far crescere il paese. Il resto è conservazione dello status quo per far sopravvivere certi dinosauri, ma gli animali preistorici stanno bene soltanto nei musei”.

 

Andrea Martella, vicecapogruppo del Pd alla Camera, ammette che il Lodo Foglio è uno schema possibile e ben presente e che “se il referendum dovesse andare bene, come credo, quelle che il Foglio propone sono mosse lucide e coraggiose che si potrebbero anche fare”.

 

Il capogruppo Ettore Rosato, sempre del Pd, è invece più scettico, seppure non escluda che il Lodo Foglio possa prendere forma. “L’Italia – dice Rosato – non è la Francia e il Pd non è il Pse francese. Nel 2007 abbiamo fondato un nuovo partito anche per superare quelle difficoltà e quei limiti della sinistra europea con cui i francesi oggi devono fare i conti. Il Pd ha raccolto oltre il 40 per cento  dell’elettorato alle elezioni europee, il più forte partito europeo, non è roba che si può buttare alle ortiche: è una forza vitale, in grado anche grazie a Renzi di dire e fare cose importanti in Europa. Le tasse? Non abbiamo bisogno di sforare i parametri, ma di renderli più flessibili per tutti, e soprattutto di stare dentro istituzioni europee che lavorino per la stabilità e la crescita e non più per l’austerity. Ciò premesso il referendum di ottobre sarà una grande occasione di ulteriore radicamento sul territorio di un partito che, grazie a riforme che volevamo da almeno 30 anni, può rivolgersi ora anche a quanti hanno sempre guardato altrove o hanno guardato alla politica come a quelli che dicono e poi non fanno”.

 

Un passaggio in più rispetto a questi ragionamenti lo fornisce infine il deputato del Pd Andrea Romano convinto che sia necessario per il governo “un grande piano di riduzione della pressione fiscale associato a un piano di riforme strutturali, meglio se concordato con l’Europa ma comunque da realizzare in ogni caso”. “Questo – dice Romano – è un passaggio che mi convince perché è quanto abbiamo già iniziato a fare ed è indispensabile portare a compimento, con coerente radicalità. La vera rottura culturale del renzismo con la tradizione statalista della sinistra che perdeva e si lagnava è nella rappresentazione delle tasse, completamente invertita da Matteo Renzi: le tasse non sono più una ‘bella cosa’ a prescindere dalla loro quantità, ma sono un peso da ridurre e ridimensionare proprio per poter liberare le energie vitali di una nazione compressa sotto molti punti di vista. Ho qualche perplessità – continua Romano – sull’idea di fondare un nuovo contenitore politico: Renzi è il segretario del principale partito della sinistra europea, la tentazione minoritaristica e protestataria tipica di chi fonda nuovi partiti è qualcosa che non gli appartiene e semmai il lavoro da portare a compimento – con la stessa coerente radicalità della battaglia sulle tasse – è quello di una battaglia culturale dentro il Pd per rendere solide e davvero egemoniche le idee della rivoluzione renziana dentro il partito. Senza alcuna velleità di uniformare qualunque diverso pensiero al renzismo, ma compiendo fino in fondo quella battaglia culturale che nessun leader riformatore della sinistra italiana ha mai avuto davvero il coraggio di fare. Uno dei più grandi errori di D’Alema, nella sua lontana fase riformatrice, fu quello di pensare che la sinistra italiana fosse irriformabile di natura e che dunque dovesse essere ‘violentata’ dall’esterno lasciandone intatti gli equilibri culturali interni. Renzi non farà lo stesso errore: ha un approccio gramsciano alla battaglia culturale più solido di chi come D’Alema (e Veltroni) veniva dalla tradizione Pci. Per completare quella battaglia serve tempo, costanza, radicalità e strumenti come un partito, una stampa politica, think tank etc. Ci stiamo attrezzando…”.