Ragioni per non sprecare energia andando dietro ai No Triv
Valide ragioni per dire "No" alla truffa del referendum. Un girotondo di opinioni per non cadere nella trappola retorico-ambientalista dei No Triv
Neoluddismo, generico ambientalismo e plebiscitarismo. Questo è il referendum No Triv
di Giulio Sapelli
Considero l’istituto referendario molto pericoloso. Se la democrazia rappresentativa è il sistema più adatto per esercitare la virtù dei migliori, la democrazia diretta esalta le virtù dei peggiori. Già il principio ruffiniano della maggioranza (dal giurista Edoardo Ruffini autore de “Il principio maggioritario”, ndr) è pericoloso, se poi lo si lascia scatenare ne derivano gravi pericoli perché le plebi non uniscono mai la maggioranza con la razionalità. A ciò si aggiunge l’avanzare di una mentalità anti-industriale in un contesto in cui l’industria viene venduta ad altri e contemporaneamente vengono allontanati gli investimenti stranieri: si torna così a Luigi Einaudi che ci voleva una nazione agricola-commerciale, mettendo da parte Francesco Saverio Nitti e Pasquale Saraceno che ci hanno fatto entrare nell’industria. [continua]
Contro il totalitarismo delle virtù civiche
di Rocco Todero
I promotori del “si” al referendum i hanno intravisto nel richiamo politically correct all’ossequio verso le “virtù civiche” la possibilità di raccattare qualche “no” che possa comunque consentire il raggiungimento del quorum previsto dall’articolo 75 della Costituzione repubblicana. I più severi si sono persino spinti ad ammonire i componenti del Governo e gli altri pubblici ufficiali propensi a non recarsi alle urne ad evitare di fare propaganda a favore dell’astensione per non incorrere nei reati previsti dal Testo unico delle leggi elettorali (distorcendo ad arte così il senso delle norme richiamate). [continua]
L’astensione è l’opzione più razionale
di Massimiliano Trovato
Secondo il presidente della Corte Costituzionale, sfilare al seggio “fa parte della carta d’identità del buon cittadino”. Paolo Grossi come Sarah Silverman: “Votate! Io voterò per Bernie, ma basta che votiate (…per Bernie)”. Raramente l’invito al voto è davvero spassionato: anche nelle parole del grande giurista fiorentino par di cogliere una postilla: “basta che votiate (…per il sì)”. Quella del voto come dovere civico è una superstizione di cui non riusciamo a liberarci. “Se non voti, non ti puoi lamentare” – ma, come ammoniva George Carlin, è semmai chi vota a perdere la facoltà di disconoscere decisioni che ha contribuito a vidimare. [continua]
I tre motivi del sindacato per dire Sì Triv
di Emilio Miceli
l referendum pone una serie di questioni, ma ce n’è una che davvero colpisce e in un certo senso precede le ricadute economiche ed occupazionali. è una davvero che mi colpisce disopra le questione occupazionali ed economiche. È l’idea che, comunque vada, noi italiano il gas e il petrolio li possiamo sempre comprare, tanto ci sarà qualcuno nel mondo che l’estrae al posto nostro. Questa posizione non fa i conti con il fatto che non ci sono dubbi sulle garanzie di sicurezza nei siti in Italia, mentre ci possono essere dubbi per gli altri in giro per il mondo. Ma più in generale l’idea che ci sia qualcuno nel mondo a cui delegare il lavoro sporco in cambio dell’obolo dei paesi ricchi è un’idea che non mi appartiene ed è anche una scelta etica che c’è al fondo di questo referendum, con il suo retrogusto amaro dell’egoismo economico, sociale ed ambientale. Ci trasformiamo nello zio Sam che compra perché tanto c’ha i dollari. [continua]
Una società basata sulla divisione del lavoro si fonda sull’astensione
di Alberto Mingardi
La “piattaforma” lasciata in eredità da Gianroberto Casaleggio al Movimento Cinquestelle si chiama “Rousseau”. L’idea della volontà generale, la magia per cui ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisce che a se stesso, e resta libero come prima, ha bisogno di una fantasia dell’uomo naturale: quello al quale le catene le avrebbe messe il progresso, la civiltà, la divisione del lavoro. [continua]
Batteremo Renzi in altre occasioni. Non ora, non rinnegando noi stessi
di Paolo Romani
Domenica non andrò a votare. Non ci andrei in nessun caso, qualunque fosse la mia opinione sulla materia della consultazione, perché trovo inaccettabile l’uso di uno strumento come il referendum in casi come questo. Significa stravolgere il senso dello strumento referendario in una democrazia rappresentativa. In Italia, dopo il referendum istituzionale del 1946, non si ricorse più allo strumento referendario fino al 1974, anno della consultazione popolare sul divorzio. Questo era un metodo corretto: il referendum veniva usato in caso eccezionali, quando era in gioco una scelta chiara fra due grandi visioni del mondo, Monarchia o Repubblica, indissolubilità del matrimonio o libertà per i coniugi. Affrontare per referendum una questione minore, e squisitamente tecnica, è una cosa del tutto senza senso, perché la classe politica, che è una categoria specializzata di legislatori, non può chiedere ai cittadini, che specializzati non sono, di risolvere i problemi. [continua]
E’ legittimo astenersi se non si condivide la domanda. Lo dice la Costituzione
di Marco Olivetti
La qualificazione giuridica dell’astensione nel referendum abrogativo è da tempo oggetto di discussione fra i cultori del diritto costituzionale. Essa può essere esaminata da due punti di vista: quello della “Costituzione dei diritti” e quello della “Costituzione dei poteri”. Il discorso è stato di solito sviluppato da questo secondo punto di vista. La previsione del quorum nel referendum abrogativo è stata interpretata come una deroga al dovere civico di votare: prevedendo che il referendum sia valido solo qualora partecipi al voto almeno la metà più uno degli aventi diritto, l’art. 75 ha aperto a chi sia contrario a un referendum la possibilità di operare nella campagna referendaria non solo per ottenere la prevalenza del No sul Sì, ma anche per ottenere, con il mancato raggiungimento del quorum, l’invalidità delle operazioni referendarie e dunque la permanenza in vigore della normativa di cui i promotori del referendum chiedono l’abrogazione. [continua]
E’ legittimo astenersi quando si mischiano aspetti tecnici e battaglie politiche
di Raffaello Lupi
Il referendum è uno strumento di democrazia per sondare i sentimenti profondi del paese su grandi temi, impostati in modo che gli elettori possano scegliere in modo semplice, ma con cognizione di causa. Come repubblica o monarchia, divorzio, aborto, magari domani i diritti degli immigrati. Il referendum è invece improprio su quesiti tecnici, cui non corrispondono bandiere politiche né la massa degli elettori può decidere con cognizione di causa. Il peggio però è mescolare questi aspetti, cioè trasformare un referendum tecnico, come quello sulle trivelle, in una bandiera politica “pro o contro il petrolio”. [continua]
Dipendenza energetica significa dipendenza politica da dittatori e califfi
di Giampaolo GalliIn questo referendum, oltre al significato tecnico/normativo, è presente un significato simbolico più ampio, che riguarda gli orientamenti generali della politica energetica dell’Italia. Se vincesse il sì, in Italia diventerebbe ancora più difficile estrarre idrocarburi, in mare, entro e oltre le 12 miglia, e anche in terra, da nuovi o da vecchi giacimenti. E questo sarebbe un guaio perché la transizione verso un’economia basata sulle rinnovabili non può che essere graduale. Ancora per molti anni avremo bisogno di gas e petrolio. E non è che rendendo più difficile l’estrazione di idrocarburi in mare o in terra si aumenta la produzione di rinnovabili, perché le due cose non sono affatto correlate, non c’è un effetto di sostituzione nella loro produzione. Gli incentivi sulle rinnovabili – che hanno comunque un costo notevole – sono un conto, e la rinuncia alle fonti fossili un altro. [continua]
Il frullato postmoderno della politica: dalla fabbrica al b&b, dall’acciaio al caciocavallo
di Angelo Mellone
Non è questione di se e cosa votare al referendum. Non mi impiccio. La questione grande, gigantesca, subdola è il virus retrosviluppista che paritariamente destra e sinistra si sono inoculate come una sorta di terapia postmoderna per allenarsi alla trasformazione dell'Italia da potenza industriale a villaggio vacanze. La sinistra ha dimenticato in un colpo solo la difesa della civiltà del lavoro, il progressismo delle macchine, la stessa mitografia operaia per convertirsi in un frullato postmoderno di agriturismi, alberghi diffusi e prodotti tipici come cifre ideologiche, in una visione del territorio come panorama ricostruito a cartolina e del tutto depurato da dolori e ferite del passato. Dalle fabbriche sono passati al bed and breakfast come strumento rivoluzionario, e pace loro. [continua]
Il nostro sottosuolo è un patrimonio. Facciamolo fruttare per le prossime generazioni
di Marco Gay
Ci lamentiamo sempre che l’Italia non pianifica e si ritrova a inseguire le emergenze. Ma poi, quando il governo mette in campo un piano come la strategia energetica nazionale si scatenano i comitati del no, i presidenti regionali, le associazioni di ogni sorta e, a forza di sforbiciare pezzi, del piano non rimangono che i dettagli da ingegneri. Perché è su un dettaglio che viene chiamato a esprimersi il popolo, nonostante venga presentato come la scelta fra petrolio e mare o – peggio – fra l’onestà dei pescatori e la scorrettezza degli industriali. [continua]
E’ lo scontro tra l’Italia della decrescita felice e l’Italia dello sviluppo
di Benedetto Della Vedova
Siamo di fronte a un referendum paradigmatico, che da un punto di vista giuridico conta poco o nulla, ma che riflette un atteggiamento consolidato, immutato da 30 anni, ed esprime un solo contenuto politico: quello del “no” a prescindere. Non c’è alcuna attenzione all’interesse nazionale, che è quello di ridurre l’importazione di idrocarburi da paesi complicati e non sempre affidabili. Domina un messaggio demagogico e manicheo – “energia pulita contro energia sporca” – e la promessa di una crescita miracolosa, senza assunzioni di responsabilità. E una visione comprensibile per chi pensa che il nostro futuro sia nella “decrescita felice”, meno per chi ritiene risieda nella capacità di competere e generare ricchezza. [continua]
Belle parole, ottimi slogan. Ma dietro il referendum c’è tanta politica e niente fatti
di Giorgio Spaziani Testa
Che quello di domenica prossima sia un referendum dalla connotazione fortemente ideologica è dimostrato da quanto affermano gli stessi promotori della consultazione. “La vera posta in gioco di questo referendum – si legge nell’appello del comitato promotore – è quella di far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro paese, in ogni settore economico e sociale per un’economia più giusta, rinnovabile e decarbonizzata”. Belle parole, che indicano però che al di là del contenuto del quesito – che vuole impedire, non già nuove trivellazioni, bensì la prosecuzione sino ad esaurimento di alcune di quelle già in corso – la volontà dei sostenitori del “sì” è quella di dare e chiedere segnali politici, più che di risolvere problemi. [continua]