La giusta resistenza di Napolitano
Tutto si può capire e tollerare, ma non l’utilizzo della Resistenza, del sangue, dell’eroismo patriottico e dei morti, dei valori costituzionali e democratici, come fossero i cubi di una discoteca politica. “Ci vuole libertà per tutti, ma nessuno però può sostenere: io difendo la Costituzione votando no e gli altri non lo fanno”, ha detto l’altro giorno Giorgio Napolitano, riferendosi all’Anpi, all’associazione dei partigiani che ha schierato l’antifasciasmo contro il referendum istituzionale, provocando poi il fallo di reazione del ministro Maria Elena Boschi (“tanti partigiani, quelli veri, votano per il sì”).
“Dire questo offende anche me”, ha detto l’ex presidente della Republica, lui che la guerra la vide da giovane studente di liceo a Napoli, e che poi nel clima della Resistenza è vissuto e cresciuto da giovane militante e poi da dirigente del Pci. “Mi reca un’offesa profonda”, ha aggiunto. E insomma, fa capire Napolitano, l’Anpi, schierandosi contro il referendum, con tutto il peso simbolico che si porta dietro, non rende onore all’antifascismo e alla guerra partigiana, che con la riforma del Senato evidentemente non hanno nulla a che vedere, come fingono di non capire la sinistra del Pd e la Cgil, che polemizzano con Boschi, e intanto si piantano anche loro sulla Resistenza, per cinismo e propaganda politica, per interesse contingente e strumentale, come se l’antifascismo e la difesa dei valori democratici fossero una stampella o una scala. Ed è allora comprensibile, persino ovvio che l’antifascista Napolitano, che sul patriottismo costituzionale ha imperniato la sua presidenza della Repubblica, ora si senta insultato, offeso, lui che le riforme le ha sempre sostenute, e da molto prima che Renzi nascesse (non solo politicamente).