Cari pm, la corruzione è una cosa seria
Sono state depositate le motivazioni con cui la Corte di cassazione, lo scorso febbraio, ha assolto in via definitiva il senatore del Pd, Salvatore Margiotta, dall’accusa di corruzione e turbativa d’asta per degli appalti relativi alla costruzione del centro petrolifero Tempa Rossa in Basilicata (attorno al quale, per altre vicende, a marzo si è dimesso il ministro Federica Guidi). Le indagini furono avviate nel 2008 dal pm di Potenza Henry John Woodcock che per l’allora deputato chiese gli arresti domiciliari. Arresti negati dalla Camera, a ben ragione visti gli sviluppi della vicenda: assoluzione in primo grado nel 2011, condanna in appello nel 2014, assoluzione definitiva quest’anno per Margiotta che, nel frattempo, a causa dell’inchiesta si è autosospeso dal Pd e si è dimesso da vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai.
Positivo che la giustizia faccia il suo corso, ma alla luce del polverone mediatico-politico che si era sollevato sul caso, spicca il modo netto con cui la Cassazione ha voluto smontare l’indole di certi pm d’assalto a cercare la corruzione nell’attività dei politici anche quando questa non può esistere dal punto di vista logico. Affinché si possa parlare di corruzione, dicono i giudici, occorre che “l’atto o il comportamento oggetto del mercimonio rientrino nelle competenze o nella sfera d’influenza dell’ufficio al quale appartiene il soggetto corrotto”. Margiotta era sì vicepresidente della commissione parlamentare sull’Ambiente, ma quest’ultima “non aveva competenze nella materia oggetto di appalti”. E come potrebbe un parlamentare condizionare un appalto sul quale non dispone di alcun potere concreto di influenza? Misteri della fede (dei pm).