Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

In che consiste l'eredità politica del Cav.

Redazione

Lo spettro dei possibili successori di Berlusconi è così ampio, e quindi disperso, proprio per il successo che ha avuto la mutazione di paradigmi che ha promosso e in parte realizzato

Prima di discutere futilmente di chi raccoglierà l’eredità politica di Silvio Berlusconi forse conviene ragionare sul contenuto di questa “eredità”. La narrazione non più costruita sulla “storia come storia della lotta di classe” ma sulla competizione-collaborazione tra fattori della produzione, soggetti sociali, paradigmi culturali messi alla prova della rivoluzione tecnologica che ha mutato comunicazione e produzione, è diventata oramai patrimonio generale. Non solo Matteo Renzi, ma persino Beppe Grillo in questo senso può rivendicare l’eredità di Berlusconi che non è solo leaderismo ma anche lettura non più ottocentesca della dinamica sociale e culturale. L’altro lascito sostanzialmente accolto dal sistema politico è la visione del ruolo dell’Italia, strettamente legata al campo occidentale e per questo in grado di gettare ponti al di là e al di fuori, a cominciare dall’aspirazione a un’integrazione della Russia nel sistema di stabilità globale. Matteo Salvini che protesta per le sanzioni europee alla Russia e Matteo Renzi che si prepara a rendere visita al Cremlino sono eredi della strategia berlusconiana di Pratica di Mare. Se oggi quell’eredità rischia di inaridirsi la responsabilità è di chi non ha saputo o voluto esercitare la naturale funzione egemonica in occidente. Questo dato di incertezza, che pesa sulle imminenti elezioni americane in cui si riaffaccia l’antica contesa tra protezionismo e liberoscambismo, è anche la principale ragione della disgregazione del centrodestra, che proprio nella ferma adesione a una visione occidentale aveva e tuttora ha la sua fondamentale ragion d’essere. Anche in questa fase di regressione, tuttavia, le torsioni positive indotte da Berlusconi ai suoi alleati storici, l’assunzione di un orizzonte nazionale per la Lega Nord e di uno democratico per i neofascisti, restano e determinano l’allargamento dello spazio reale di governabilità.

 

Lo spettro dell’eredità berlusconiana è così ampio e quindi disperso, proprio per il successo che ha avuto la mutazione di paradigmi che ha promosso e in parte realizzato, che resta difficile definire lo "specifico" spicchio di eredità che spetta agli esponenti del suo partito. In questo campo, dove ha dominato la capricciosa e intuitiva dittatura anarchica del Cav., pare impossibile pensare a un erede. C’è qualcosa di irripetibile nel modo di trasformare intuizioni politiche in comunicazione e in consenso che hanno caratterizzato il ventennio berlusconiano. Ogni tentativo di imitazione apparirebbe inevitabilmente parodistico. Resta lo spazio per un impegno collettivo, in cui prima si deve costruire una presenza effettiva e poi caso mai aprire le ostilità per la leadership, sulla quale Berlusconi può esercitare, senza affaticarsi, una discreta vigilanza.

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