Ma le leggi chi le fa in Italia?
La prima sezione civile della corte di Cassazione ha respinto il ricorso del procuratore generale e ha confermato la sentenza di secondo grado che aveva consentito l’adozione di una minore da parte della compagna della madre, che convive con lei da tempo. Si trattava, nel merito, di stabilire se si configura “un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore”: la corte ha stabilito che questo conflitto non può essere stabilito “in astratto” ma deve essere “accertato in modo concreto dal giudice”. La corte ha applicato la legge sulle adozioni del 1983, senza fare cenno alla nuova normativa sulle unioni civili, e ha insistito sul fatto che in questi casi si delibera caso per caso, nel prevalente interesse del minore. E’ con questi argomenti che è stato respinto il ricorso del Procuratore generale Giovanni Salvi, che lo aveva motivato sostenendo che “in assenza di una espressa disciplina normativa è infatti necessario raggiungere un’interpretazione univoca della norma, che superi gli attuali contrasti di giurisprudenza e assicuri a tutti eguale trattamento”. Si tratta di una richiesta che, in sostanza, chiede ai giudici di sostituirsi al legislatore emanando norme, invece che applicare le leggi esistenti. Da questo punto di vista la decisione della Corte, che insiste invece nell’esame caso per caso, appare più equilibrata. Non spetta alla magistratura stabilire se la stepchild adoption deve diventare un diritto per tutte le coppie omosessuali o se deve essere negato a tutte. Naturalmente si può discutere il merito della questione, ma non è vero, non almeno in questo caso, che, come dice Roberto Calderoli, “quello che non è riuscita a fare la maggioranza in Parlamento lo hanno fatto i giudici”, così come è altrettanto unilaterale e infondata la lettura analoga di Monica Cirinnà quando dice che “la Cassazione stabilisce finalmente quanto abbiamo sostenuto e purtroppo dovuto stralciare dal testo sulle unioni civili”.
Nel testo originario steso da Cirinnà l’adozione da parte del partner era automatica, il che escludeva che ci fosse un esame di merito per accertare se questo era nell’interesse del minore. Si trattava di un espediente che avrebbe peraltro scavalcato di fatto il divieto di utero in affitto, e su questo la cassazione non ha affatto confermato le pretese della Cirinnà. La bambina, seppure nata attraverso la fecondazione eterologa (che era vietata dalla legge sulla procreazione assistita ma che era già stata riammessa dalla Corte costituzionale con una sentenza assai discussa e discutibile) ha una madre naturale che convive stabilmente con un’altra persona. I giudici hanno stabilito che, in quel caso specifico, tale rapporto non nuoce al benessere e psicofisico della bambina. Non hanno affermato un principio generale ma non c’è dubbio che la legge Cirinnà, per come è concepita, gioca proprio su questo punto: far completare ai giudici quello che il legislatore non ha avuto la forza di fare.