Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini (foto LaPresse)

Renzi tiene il punto, la sinistra Pd si lamenta (e Franceschini trama)

Redazione
Gianni Cuperlo e Roberto Speranza attaccano, ma a far paura è il ministro che guida il partito trasversale contro l’Italicum

Roma. Poiché per primo avverte il rischio che la direzione nazionale del suo partito possa apparire come un circolo Pickwick provinciale, i cui soci palleggiano tra loro invidie, rancori e timori come si conviene a una classe che fa scarso consumo di idee generali, Matteo Renzi la prende larga, altissima. E così, il segretario del Pd e presidente del Consiglio, di fronte agli eletti che compongono l’assemblea del partito riuniti a Roma in un hotel del quartiere Monti, parla della Brexit, del terrorismo islamista, dell’Europa e del G7. E seguendo una traccia scritta (è forse la prima volta che non parla completamente a braccio), solo in coda s’addentra nei miasmi e nel veleno della sconfitta alle amministrative, del referendum, dell’organizzazione del partito e del suo ruolo di segretario. “Leggo che qualcuno di noi non vuole votare la fiducia. Quello che dev’essere chiaro è che la stagione in cui qualcuno dall’alto della sua intelligenza si diverte ad abbattere i leader per me è finita”, dice, rivolgendosi alla minoranza, forse a Pier Luigi Bersani, certamente a Massimo D’Alema, che intanto lo ascolta. “La strategia del conte Ugolino non funziona. Se volete i caminetti, prendete un altro segretario”.

 

Ed è a questo punto che si comincia sul serio. Uno dopo l’altro i rappresentanti delle correnti salgono in tribuna, prendono la parola, srotolano il loro quaderno di lagnanze e d’implicite richieste. Si compone così una trama, tra contestatori e sostenitori di Renzi, mediatori e cannonieri, in cui i discorsi, i progetti, i calcoli hanno un suono tra rassegnato, pugnace, furbesco e sostanzialmente prevedibile: ciascuno recita il ruolo assegnatogli dal destino. “Sei vissuto come l’avversario dalla destra, ma anche da una parte della sinistra. E questo è un dramma”, dice Cuperlo a Renzi. “Io non ti chiedo nulla da questa tribuna”, aggiunge. Ma poi Cuperlo qualcosa la chiede: “Con te il doppio incarico di segretario e capo del governo ha vissuto una sperimentazione. E questa sperimentazione ha fallito”. E così anche Roberto Speranza chiede sostanzialmente che Renzi lasci la segreteria. E a un certo punto si spinge a ipotizzare comitati per il “no” al referendum, comitati che dovrebbero essere organizzati sempre dal Pd: “Diamo cittadinanza anche a chi la pensa in altro modo”.

 

Una sceneggiatura senza sfumature d’imprevisto, si diceva. Un film che mentre va componendosi sul palco dell’assemblea nazionale non sorprende nemmeno Renzi. Fino a un piccolo colpo di scena, tuttavia. Fino a quando cioè non prende la parola Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, leader riconosciuto della più numerosa delle correnti, confezionatore di strategie buone a tutti gli usi. “Sono perfettamente d’accordo con la relazione di Matteo”, è la premessa. Seguita però da un ragionamento che significa all’incirca: “Dopo il referendum dobbiamo cambiare la legge elettorale”. E in pochi istanti Franceschini si trasforma così, da capo della corrente più numerosa del Pd, a potenziale guida del vero partito maggioritario e trasversale rappresentato in Parlamento: il partito di quelli che vogliono cambiare l’Italicum. “La coalizione che governa questo paese è la rappresentazione di un nuovo schema: populisti contro sistemici”, dice Franceschini. “Dobbiamo aggregare tutti quelli che si contrappongono al populismo”, insiste. Dunque non solo la sinistra di Fassina e di Vendola, ma anche la destra di Alfano e di Verdini. E qui allora si segnala la fortissima contrarietà di Matteo Orfini, che prende la parola poco dopo. Il passaggio di Franceschini suona chiarissimo alle orecchie allenate dei giovani turchi. “Sulla legge elettorale non sono d’accordo con Dario”, dice Orfini. Affezionati al partito, alle sue liturgie, alla sua storia, qualunque sia il segretario, i giovani turchi temono che la riforma dell’Italicum possa favorire una scissione a sinistra. E forse temono anche la caduta di Renzi. Per evitare anche solo il rischio, i turchi si batteranno alla morte. E allora che farà Renzi? Chi sceglierà tra Franceschini e Orfini, di chi si fiderà tra le due correnti più renziane tra i non renziani?