“Farò tabula rasa”
Cosa c'è dietro la mossa del Cavaliere di puntare su Parisi per rilanciare Forza Italia
Il sogno di avere Parisi come commissario nazionale per il partito, la nuova traiettoria del centrodestra tra segnali visibili, ricorsi a Strasburgo e piani per il dopo referendum. Venerdì il vertice. I due incroci giudiziari.
Roma. All’ennesima rimostranza di Renato Brunetta e Paolo Romani seduti attorno al tavolone in noce della villa di Arcore, Silvio Berlusconi si è alzato. Nessuno scatto, men che meno segnali di nervosismo, tanto che i due convenuti sabato a pranzo pensavano sarebbe stata cosa di qualche minuto. Si stava giusto parlando del “futuro” di Forza Italia e di quella “idea pazza” del suo fondatore di metterla in mano a Stefano Parisi (che ne ha parlato oggi in un'intervista rilasciata alla Stampa), nominarlo commissario col mandato di azzerare tutto. Parisi era stato sondato e avvisato, l’ex candidato sindaco a Milano, imprenditore e manager, già conosceva regole d’ingaggio e senso della sua missione: far dimenticare la “vecchia” FI, ricostruirla da “fuori” i Palazzi. I due capigruppo nutrono dubbi su questa soluzione, controproponevano un “direttorio” di dirigenti vecchi e nuovi, quindi una gestione plurale, e così lui è tornato a fare il Cav. Forse per marcare una distanza, per rivendicare il distacco da queste “piccole polemiche” o per segnalare che in fondo lui è malato e merita rispetto, è scomparso per un’ora e mezza: “Scusate, stavo dormendo”, si è giustificato con un sorriso al ritorno.
La scenetta di sabato è il preludio di quanto rischia di succedere venerdì, quando lo stato maggiore azzurro è stato convocato nel giardino della villa-quartier generale dell’ex premier. Parisi siederà accanto ad Alfredo Messina, pure lui ex manager, oggi silenzioso titolare del simbolo con la bandierina e del conseguente potere di firma sulle liste, ruolo ereditato da Mariarosaria Rossi, vicino al “ritrovato” Valentino Valentini, dal lato “opposto” di quell’intellighenzia fatta dai Brunetta, dai Romani, dai Giovanni Toti, Altero Matteoli, Mariastella Gelmini e chissà chi altro. Ci saranno anche Sestino Giacomoni e Niccolò Ghedini, che con Gianni Letta ha tenuto le redini del partito in questo mese di assenza dalle scene del Cavaliere. Sarà un caso, ma in poche settimane l’ex premier ha rimediato due successi di una certa caratura. La Cedu ha avviato l’esame del ricorso presentato il 7 settembre del 2013 dai suoi legali e giusto ieri il Senato della Repubblica ha clamorosamente negato l’utilizzo delle undici intercettazioni del Cavaliere alla procura che ne aveva fatto richiesta. Sia la prima “pratica” sia la seconda coinvolgono in qualche modo il premier. Sulla composizione del voto – a scrutinio segreto – di Palazzo Madama non ci saranno mai certezze, ma le risposte ai quesiti che i magistrati della Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo hanno recapitato a Piazza Colonna quelle sì, usciranno col “bollino” della Presidenza.
Almeno due questioni su tre sollevate dai difensori del Cav. – la possibilità di un reintegro per il senatore decaduto e quelle di un risarcimento, non previste dalla normativa vigente – sembrano far pendere la bilancia a favore del ricorrente. Molto dipenderà anche da quanto cercheranno di arrampicarsi sugli specchi gli avvocati dello stato distaccati a Palazzo Chigi, che dovranno rispondere entro il 27 ottobre alla missiva di due pagine protocollata la settimana scorsa. Poi, eventualmente, l’ex premier potrà muovere delle controdeduzioni, ma ad Arcore si augurano che già a inizio 2017 possa arrivare il pronunciamento e il “clima” viene giudicato “favorevole”. Una linea soft sul ricorso e la conclusione degli ultimi strascichi della “persecuzione giudiziaria” si potranno tradurre in una campagna elettorale sul referendum col freno a mano tirato? “Assolutamente no”, ripete a tutti il fondatore di FI, che, anzi, ha suggerito a Giacomoni e Gregorio Fontana il regolamento dei Comitati, di insistere sulla possibilità di “allargarli” alle “altre realtà del centrodestra”, obbligare i fondatori a includere “ogni cinque proponenti almeno uno” proveniente da “realtà dell’associazionismo”, un non-politico. Perché è sempre lì che vuole andare a parare l’ex premier, sui “non politici”, proprio come Parisi.
“Farò tabula rasa”, annuncia il manager ai pochi azzurri coi quali è in confidenza. Insistere – come il Cav. farà – sul profilo dell’ex candidato sindaco di Milano significa anche continuare a mantenere le distanze da Lega nord, Fratelli d’Italia e gli altri “piccoli”, aspettare che siano gli altri a venire a lui. Niente attacchi scomposti all’esecutivo, ma politica. Ecco perché l’Italicum, al momento, gli va benissimo così com’è. Se, come suggerisce Napolitano, il premier farà una mossa la valuterà, ma non sarà Forza Italia a chiedere una legge che favorisca le coalizioni. Sicuro su questo tema sono ripresi i contatti tra Letta e Verdini, che pure non avevano mai smesso di sentirsi (e stimarsi), ma Berlusconi vuole stare fermo, è tutto rimandato al dopo-referendum, a un ipotetico esecutivo di “unità nazionale” di cui parlava già in campagna elettorale. L’interlocutore sarà un altro. Parisi già aveva trattato con Ncd (esordì in politica, a Palazzo Chigi, con Raffaele Costa, padre dell’attuale ministro), aveva convinto Passera a ritirarsi dalla corsa per Palazzo Marino ed è l’unico candidato alle ultime amministrative che è riuscito a trascinare FI sopra al 20 per cento, a ristabilire le “giuste” proporzioni dentro la coalizione. Non tira aria di pacificazione coi due giovani alleati, il nuovo staff del Cavaliere ha avuto disposizioni di non rispondere nemmeno alle telefonate. E infatti non sarebbe stata vista con favore l’annunciata partecipazione di Giovanni Toti a una kermesse organizzata sabato da Meloni e Salvini in Toscana; l’ex premier ha scelto di “spedirci pure i due capigruppo azzurri proprio per controllare che non si parli di “futuro”.
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