Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Populista è chi il populista fa

Redazione
Un sorriso per D’Alema e Mucchetti con l’elmetto anti establishment.

Massimo D’Alema in versione comitato-per-il-No-ambulante lo ha sistemato ieri il suo ex allievo Matteo Orfini, con un guizzo in cui quasi diventava irriconoscibile il burocrate di partito che è in lui. Ecco la stilettata che l’attuale presidente del Pd ha consegnato al Fatto quotidiano: “D’Alema è stato per anni il capofila di una battaglia contro una deriva minoritaria e per una sinistra moderna e riformista. Oggi organizza i comitati per il no alla riforma con Flores d’Arcais che gli faceva i girotondi contro”. A Massimo Mucchetti, amico caro per noi e per i lettori del Foglio, senatore del Partito democratico e già colonna del Corriere della Sera, che ieri su Repubblica lamentava come tra i sostenitori del “sì” al referendum costituzionale si riconosca “solo l’establishment”, lo diciamo invece da qui in amicizia: l’elmetto da tribuno della plebe non le dona.

 

Non soltanto perché rifuggiamo il gossip che vorrebbe Mucchetti tutt’altro che avversario (eufemismo) di personaggi non esattamente outsider (eufemismo) come il banchiere Giovanni Bazoli. E non soltanto perché del Corriere della Sera, quotidiano di Via Solferino e non del popolino, Mucchetti è stato firma di punta e anche vicedirettore. E nemmeno ci permettiamo di far osservare a Mucchetti che, seguendo alla lettera il suo ardito parallelo con il referendum inglese sulla Brexit, Renzi assomiglierà pure al compassato David Cameron ma allora il nostro senatore del Pd potrebbe apparire come un novello Nigel Farage. Ciò che qui preme osservare, piuttosto, è che non si può nei giorni pari imputare agli elettori di ragionare troppo con la pancia, e poi nei giorni dispari solleticare quella stessa pancia (dàgli all’establishment!) soltanto per togliere di mezzo un avversario politico. Si può fare. Ma non prima di aver gettato la maschera e di ammettere la verità: oui, je suis Flores d’Arcais.