Perché la tattica di Parisi per svegliare il centrodestra per ora funziona
La tattica di Stefano Parisi, che non risponde mai alle critiche e agli attacchi dei vari esponenti del centrodestra e di Forza Italia che vorrebbero escluderlo, sta dando i primi risultati. Alla base di questo primo embrionale successo c’è il rifiuto di partire con una delimitazione preventiva dell’area di centrodestra, che secondo alcuni andrebbe preclusa ai leghisti, secondo altri a chi ha appoggiato il governo di Matteo Renzi.
Parisi punta invece a ridefinire una funzione nazionale e popolare del centrodestra, che è qualcosa di più di un programma di governo. Pur accodandosi alla campagna per il No al referendum, sostiene l’esigenza di una profonda riforma costituzionale, e ha proposto la soluzione dell’assemblea costituente che, anche se sostanzialmente impraticabile perché richiederebbe una riforma preliminare della stessa Costituzione, ha il pregio di svincolarsi almeno nelle intenzioni dall’area della conservazione istituzionale.
Sta lavorando a una proposta di politica economica che non disperda le risorse che vanno destinate alla crescita nei mille rivoli dell’assistenza e della previdenza e insiste su una collocazione attiva nello scenario internazionale e nella lotta al terrorismo. Nel merito si vedrà, ma il fatto stesso che il suo percorso non sia stato bloccato significa che le tendenze superidentitarie in cui si erano rinchiuse le varie componenti del centrodestra stanno declinando. Al centrodestra l’elettorato potenziale, deluso dalle sconfitte e dalle divisioni, chiede un recupero di competitività, non un’accentuazione delle differenze interne e delle contumelie impotenti nei confronti degli altri. E Parisi prova a rispondere a questa domanda.