Passeggiate romane
Il sisma e D'Alema
Il cavallo Errani. I bene informati raccontano che Vasco Errani non sapesse dell’intenzione di Matteo Renzi di affidargli l’incarico di commissario del governo per la ricostruzione. Dicono che il presidente del Consiglio abbia deciso di far uscire la notizia sui giornali senza avere ancora l’assenso dell’ex governatore dell’Emilia Romagna, in modo da rendergli difficile rispondere con un “no, grazie”. Ma questa operazione non è stata fatta per mettere all’angolo Errani. La verità è che il premier lo stima molto ed è da un anno circa che cerca di coinvolgerlo nelle attività del governo, convinto come è che l’ex presidente della regione Emilia Romagna sia l’uomo adatto per risolvere diverse situazioni. Solo che finora Errani si era sempre sfilato per non dare l’impressione di voler abbandonare il fronte della minoranza interna.
Bersaniani in contropiede. E a proposito della minoranza interna, al di là delle dichiarazioni ufficiali di plauso a questa scelta del presidente del Consiglio, in realtà i bersaniani sono stati colti in contropiede e non sono troppi felici dell’incarico dato ad Errani. Già perché appena l’ex governatore dell’Emilia Romagna ricoprirà quel ruolo super partes diventerà complicato per lui darsi alla politica attiva nel partito. E questo è uno dei motivi di disappunto di Pier Luigi Bersani, che di Errani è fraterno amico.
Il profilo unitario e i rischi sul no. Come se non bastasse, la minoranza del Partito democratico ha un altro problemino. L’ex segretario stava facendo preparare dai suoi un documento per il “No” al referendum con l’obiettivo di non lasciare quel campo al solo Massimo D’Alema. L’iniziativa dei bersaniani sarebbe dovuta partire ai primi di settembre, ma adesso, dopo il sisma che ha sconvolto l’Italia centrale, nella minoranza sono preoccupati per come potrebbe essere vista questa mossa. Un’uscita di rottura, nel momento in cui tutti, Silvio Berlusconi incluso, si appellano al l’unità nazionale, potrebbe non avere delle ripercussioni positive nell’elettorato del Partito democratico. Tutto ciò è fonte di preoccupazione da parte dei bersaniani, i quali sono convinti che anche per questa ragione il presidente del Consiglio continuerà a tenere questo profilo “unitario” fino al referendum. L’atteggiamento di Renzi nella fase post-terremoto, infatti, sta già pagando in termini di sondaggi. Il premier si presenta come un governante che rassicura, delega, include e coinvolge. Andargli contro, in questo momento, potrebbe rivelarsi un boomerang.
Anche Prodi prende tempo. Ebbene sì, resta sempre il referendum la vera battaglia finale sullo sfondo. Arrivarci in un clima diverso, di concordia nazionale, per il premier può essere un vantaggio. E’ questo mette in difficoltà non solo i suoi avversari, ma anche coloro che non lo amano e che però evitano di schierarsi apertamente contro di lui. Un nome per tutti? Romano Prodi. L’ex premier sarebbe intenzionato a votare “no”, e infatti tutto il lavorìo fatto da Renzi nei suoi confronti non aveva come scopo quello di strappargli un “sì” o, addirittura, come pure si è scritto, di coinvolgerlo nella campagna referendaria. L’obiettivo, più semplicemente, era quello di evitare che Prodi rendesse pubblico il suo “No”.