Sale Di Battista, scende Di Maio
Il pasticcio dilettantesco di Roma cambia i rapporti di forza nel M5s. Il frontman ora è Dibba. Di Maio è caduto in disgrazia a causa delle vicende che stanno travolgendo la giunta Raggi a Roma e del caso Muraro in particolare. Ritratto di due ragazzi che hanno sempre giocato partite diverse.
«Maledetto, sei il leader», disse sorridendo Beppe Grillo a Luigi Di Maio il 9 settembre 2015. Quel giorno, in una conferenza stampa alla Camera, il M5s presentava la sua offensiva politica per il reddito di cittadinanza. Di Maio, in un impeccabile completo blu, ne uscì con l’investitura ufficiale del fondatore del Movimento [1].
Esattamente un anno dopo la situazione nel M5s è cambiata. Il frontman ora è Alessandro Di Battista. Di Maio è caduto in disgrazia a causa delle vicende che stanno travolgendo la giunta Raggi a Roma e del caso Muraro in particolare [2].
In breve, Paola Muraro, assessore all’Ambiente al Comune di Roma, dal 21 aprile scorso è indagata dalla procura della Capitale in un’inchiesta che riguarda alcuni impianti per il trattamento di rifiuti che la stessa Muraro era tenuta a controllare quando lavorava come consulente della municipalizzata romana Ama. La Muraro è venuta a sapere di essere indagata il 18 luglio e ha subito avvertito la sindaca Raggi. Le due hanno reso pubblica la cosa solo lunedì 5 settembre durante l’audizione davanti alla commissione parlamentare sull’ecomafia. Stando a quanto sono riusciti a ricostruire i giornali attraverso mail e sms, la Raggi aveva avvertito dell’indagine il direttorio romano del M5s che a sua volta aveva girato l’informazione a Luigi Di Maio. Quest’ultimo però non aveva comunicato la notizia ai suoi colleghi, offrendo una serie di spiegazioni che sono apparse a molti poco convincenti (tra le prime, quella di non aver compreso correttamente il contenuto della mail ricevuta) [3].
Sul palco di Nettuno, mercoledì scorso, per la chiusura del tour di Di Battista contro la riforma costituzionale, si sono ritrovati Grillo e il direttorio nazionale del Movimento al completo. E s’è visto Di Battista arringare la folla sotto lo sguardo soddisfatto di Grillo, che lo ha presentato così: «Un ragazzo che ha fatto 5mila chilometri e finisce qui nella piazza della giustizia e del perdono» [4].
A Di Maio, per una volta senza cravatta, viso pallido, è toccato andare al microfono e chiedere scusa per i pasticci degli ultimi giorni: «Sono qui per guardarvi negli occhi e dirvelo: ho sbagliato, ho sottovalutato» [5].
Andrea Malaguti: «C’era Di Maio. Oggi c’è Di Battista. È questo il primo risultato del dilettantesco pasticcio di Roma, che finisce per penalizzare Di Maio più della confusa e incomprensibile sindaca Virginia Raggi, due delibere in ottanta giorni. E anche Beppe Grillo, l’antico Capo Tribù, finisce per sparire davanti al sorprendente potere ipnotico del nuovo Capobranco, che attacca la Rai, le banche, Renzi, la Merkel, la Boschi, invocando più Italia, più sovranità, una moneta propria e soprattutto ribadendo l’ennesimo definitivo No alle Olimpiadi» [6].
Fabrizio Roncone: «I due hanno sempre giocato partite diverse dentro il M5s: Di Maio in ghingheri, perfettino, sorriso indecifrabile, modi che sarebbero piaciuti molto al Berlusconi di venti anni fa, l’incarico di vicepresidente della Camera, la non celata ambizione di poter correre, un giorno, da candidato premier. Di Battista in eskimo nella parte del grillino gruppettaro di vera lotta, i toni duri, alla tivù sempre in polemica, molte certezze su tutto, una collezione di dichiarazioni a dir poco avventate. Il Foglio lo definisce “mitomane a 5 stelle”. Il New York Times lo inserisce tra i politici “ballisti” quando dal palco del Circo Massimo afferma che “il 60% del territorio della Nigeria è controllato da Boko Haram e il resto da Ebola”» [5].
Classe ’78, Di Battista è romano di Vigna Stelluti, famiglia mediamente benestante, originaria di Civita Castellana, nel viterbese. Rapporto conflittuale con il papà, che disse «non sono di destra, sono fascista», che ha un busto di Mussolini in casa e che aveva un’azienda di sanitari. Legatissimo invece alla madre e alla sorella Titti, che fa l’insegnante di educazione fisica. Laziale, catechista nella parrocchia di Santa Chiara, in piazza dei Giochi Delfici (la stessa dove Aldo Moro si fermava a pregare) [7].
Jacopo Iacoboni: «Suo zio ha un’associazione di volontariato, e gli apre quel mondo. Quando decide di partire per un viaggio di un anno in Sudamerica, con la fidanzata di allora, ha intorno ai 25 anni, dal Guatemala alla Colombia. Torna e, naturalmente, s’atteggia. Comincia a suggerire di interessarsi a Che Guevara, o a Marx, a gente che magari l’aveva letto a 17 anni. È così, Dibba: tocca una cosa e comincia a raccontarsi di esserne esperto da una vita. “Non vi dovete mettere i jeans, sono sfruttamento del capitale”, dice ai ragazzi che trova tornando; gente magari un po’ più di sinistra di lui» [7].
Conosce Casaleggio nel 2011 attraverso Mario Bucchich, uno dei soci originari della Casaleggio & Associati. Ancora Iacoboni: «A Casaleggio piace, quel ragazzo. Gli offre tremila euro per andare in Colombia e scrivere un libro che poi loro, con l’editrice Adagio, pubblicheranno, Sicari a 5 euro. Doveva fare un’altra esperienza in Portogallo, parte, ma mentre è lì lo richiamano. “Ti vuoi candidare?”. A Roma era già stato candidato (trombato) nel suo municipio: questo gli permette di correre alle politiche. Ma gli attivisti romani poco lo conoscono, quando nel 2013 viene eletto; e quando risulta quarto a Roma, enorme è la sorpresa nella capitale tra militanti storici. “E questo chi è?”. Invenzioni casaleggiane» [7].
Quest’estate Di Battista è stato protagonista del tour Costituzione CoastToCoast. Roncone: «Parte il 7 agosto, da Orbetello. Subito, la prima notte, posta una foto di lui a letto che legge: tipo insomma la famosa immagine del Che che legge Goethe. Poi cede all’egocentrismo: e posta la foto di quando fa flessioni appoggiato a un guard-rail. Ovunque lo aspettano a centinaia. Il sindaco di Jesolo osa negargli la piazza e riceve minacce sul web: “Andresti ucciso a colpi di lupara”» [5].
«Lo amano. Lo adorano. Lo vogliono. È del tutto ovvio che da oggi il Sovrano è lui. A testimoniarlo è l’intera piazza di Nettuno che si schiera ai piedi di Alessandro Di Battista. Il passaggio di consegne con Luigi Di Maio forse non è nella forma, di certo lo è nella sostanza. “Dibba, Dibba, Dibba, Dibbaaaaaa”. È il boato scaricato in cielo con un fanatismo da concerto vascorossiano al termine di questo curioso processo cinese organizzato da BeppeMao nel Lazio, in cui il colpevole – Di Maio Luigi – ben accolto e tiepidamente applaudito, viene condannato prima del dibattimento ed è costretto a cospargersi il capo di cenere di fronte alla platea» [6].
«Di Battista ha delle qualità straordinarie, ha i tempi, ha tutto. Rivedo in lui quello che potevo essere con trent’anni di meno»; «Luigi Di Maio è un Casaleggio senza capelli» (Beppe Grillo, marzo 2014) [8].
Di Maio, trent’anni, avellinese di nascita ma una vita trascorsa a Pomigliano d’Arco, «la Stalingrado del Sud», alle Comunali 2010 prese 59 preferenze, non venne eletto ma incontrò Grillo per la prima volta. Alle Parlamentarie del 2013 ottenne 189 voti, da lì l’entrata a Montecitorio e quindi l’elezione a vicepresidente della Camera [9].
Emanuele Buzzi: «Eppure la scintilla per la politica per Di Maio non l’ha fatta scoccare Grillo o Gianroberto Casaleggio, ma Antonio Cassese, suo professore di Storia e filosofia ai tempi del liceo. Primi anni duemila: diventa rappresentante degli studenti del liceo Imbriani e poi presidente del consiglio degli studenti all’università Federico II». Non si è mai laureato in Giurisprudenza [9].
Marianna Rizzini: «Di Maio è sempre stato vissuto, a torto o a ragione, come il Cinque stelle presentabile che non rischia di dire castronerie su sirene e microchip, Cinque stelle educato che non si accapiglia con i colleghi del Pd, Cinque stelle che apparentemente non la spara grossa (ma poi si allinea al blog), Cinque stelle che, infine, quando Di Battista scivola per eccesso di volontà di “comprensione” sull’estremismo islamico, come all’indomani delle prime decapitazioni targate Isis, butta lì la frase involuta da diplomatico di Palazzo in stile Prima Repubblica: “Su Isis l’unico documento ufficiale del Movimento è la risoluzione che abbiamo presentato”, diceva Di Maio il delfino diverso dal prototipo» [10].
Scrive Iacoboni che «da qualche tempo Grillo ha preso a manifestare insofferenza per l’entrismo istituzionale di Di Maio, i suoi incontri con i lobbisti, la smania di chiedere appuntamenti coi potenti. Grillo parla, e esprime giudizi a volte anche molto coloriti, su chi a un certo punto non lo convince o non lo entusiasma o lo ha seccato. Così come esprime giudizi positivi altrettanto di pancia, e in questo momento non fa che elogiare Di Battista, è arrivato a dire che un po’ si rivede in lui. Se dovessimo riassumere questa estate in due fotografie, agosto gli riconsegna un Di Maio a tavola coi lobbisti e invece un Di Battista trionfante in scooter nelle proteste di piazza» [11].
«Voglio portare il Movimento al governo dell’Italia», ha detto Di Maio venerdì scorso in un comizio a Formigine, nel Modenese. «Meglio scusarsi in piazza. Almeno qui c’erano testimoni», ha poi replicato alle domande dei cronisti sul caso Muraro. E dietro il sorriso si celava il dispiacere per quella fuga di documenti offerti alla stampa «da chi voleva azzopparmi» [2].
Francesco Verderami: «Ma se fosse vero che per Grillo “Luigi non si tocca”, se fosse vero che “Dibba è al mio fianco”, allora la battaglia per “una nuova era” potrebbe rivelarsi vincente nel Movimento. Cambiare la natura dei Cinque stelle è la sfida che si incarica di portare avanti Di Maio per arrivare a Roma dopo aver vinto a Roma. Mica facile. Non a caso si è attrezzato: “Mi sono comprato un giubbino antiproiettile”» [2].
Apertura a cura di Luca D'Ammando
Note: [1] Annalisa Cuzzocrea, la Repubblica 10/9/2015; [2] Francesco Verderami, Cds 10/9; [3] il Post 10/9; [4] Emanuele Buzzi, Cds 8/9; [5] Fabrizio Roncone, Cds 9/9; [6] Andrea Malaguti, La Stampa 8/9; [7] Jacopo Iacoboni, La Stampa 8/9; [8] Marco Fattorini, Linkiesta 17/3/2014; [9] Emanuele Buzzi, Cds 11/9/2015; [10] Marianna Rizzini, Il Foglio 10/3/2015; [11] Jacopo Iacoboni, La Stampa 4/9.