L'Italia allergica al rischio e il caso del Ponte sullo Stretto
"Noi siamo pronti, vi sfido”. Matteo Renzi è tornato a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina, questa mattina alla celebrazione dei 110 anni del gruppo Salini Impregilo. Non è la prima volta che lo fa (“Certo che si farà”, diceva meno di un anno fa a Bruno Vespa) ma è la prima volta che rilancia con tale convinzione il progetto fermo da troppi anni. “Bisogna completare il collegamento tra Napoli e Palermo - ha detto il premier - un'operazione che porti 100 mila posti di lavoro e serva a togliere la Calabria dall'isolamento e avere la Sicilia più vicina. In questo vi sfido - ha aggiunto rivolgendosi al patron del Gruppo, Pietro Salini - se siete in condizione di portare le carte e di sbloccare quello che è fermo da 10 anni noi siamo pronti, noi ci siamo".
E’ sicuro, il presidente del Consiglio, che trovando privati pronti a investire non ci saranno intoppi. Non da parte del governo, almeno: “Dopo le riforme è il momento di completare le grandi opere”. "Abbiamo sbloccato la Napoli-Bari, e questo è un fatto importante anche se non basterà: da Bari dobbiamo ancora andare a Lecce". L'altra opera da bloccare, ha spiegato Renzi, è quella che collegherà Napoli e Palermo, completando di fatto anche il Ponte sullo Stretto di Messina.
Non si è fatta attendere la reazione di Maurizio Lupi, ex ministro delle Infrastrutture e capogruppo di Area popolare: “La legge per sbloccare la realizzazione del Ponte sullo Stretto sia inserita nel calendario della Camera dei prossimi tre mesi”, ha annunciato Lupi, esprimendo apprezzamento per le parole pronunciate oggi dal presidente del consiglio, che "ha detto sì alla nostra proposta di riprendere il progetto. Ora serve una legge che dica che il Ponte si realizzerà”.
Inevitabili saranno le polemiche, i veti, le proteste, sempre più tipiche di un paese, l’Italia, in cui la cultura del pessimismo e del no a tutto stanno da tempo decidendo alcune scelte importanti, ultima quella delle Olimpiadi a Roma. “C’è una cultura tetra, negativa, tenebrosa dietro il no a Roma 2024 – ha detto pochi giorni fa Stefano Parisi, potenziale leader del centrodestra di domani – E’ una cultura che non mi piace, che liscia il pelo al pessimismo che esiste nel nostro paese e che in un certo modo è la spia di un problema che giorno dopo giorno mi sembra sempre più evidente: l’incapacità a declinare una cultura di governo da parte di chi ha fatto della propria inesperienza un punto forte del proprio progetto politico”. E’ lo stesso tipo di cultura che fa dire no a opere e progetti come il Ponte sullo Stretto, un “tic”, ha scritto Umberto Minopoli, “che ci condanna alla decrescita come modello di vita”.
Che sia il momento giusto per rilanciare la costruzione del Ponte sullo Stretto, a parte l’ovvia creazione di nuovi posti di lavoro, era stato già spiegato proprio sul Foglio dall’ex ministro delle Finanze Francesco Forte, in un lungo articolo in cui spiegava che “battersi per collegare Sicilia e Calabria rimane sacrosanto”, essendo questa impresa una “rivoluzione per ambiente, cultura ed economia”.
Secondo gli ambientalisti, il fatto che le navi debbano passare sotto il ponte, nel canale centrale, ove è garantita una altezza di 65-70 metri turberà i pesci, che nuotano nello Stretto. Ma i traghetti che ora li infastidiscono e alterano la flora e la fauna marina, con le loro polluzioni, diminuiranno. Questo nessun miope ambientalista è in grado di notarlo, ovviamente. Il ponte è in realtà un beneficio per l’ambiente, anche dal punto di vista del risparmio energetico.
E’ anche possibile prevedere che ci sarà un grande afflusso di turisti per ammirarlo. La Tav diventerà d’obbligo da Salerno a Palermo. La viabilità siciliana avrà nuovo impulso. La città metropolitana Messina-Reggio diventerà una grande realtà urbanistica, economica, culturale, turistica, terziaria. La ’ndrangheta calabrese e la mafia siciliana perderanno il controllo del loro territorio, perché il ponte genererà mobilità e modernità. Lo perderanno, il controllo, anche i politici clientelari, i bottegai e gli intellettuali, gelosi delle loro aree di influenza. La Germania dell’Est, che era il “Mezzogiorno tedesco”, si è sviluppata e industrializzata con le due politiche, fra loro interdipendenti delle infrastrutture e dei salari legati alla produttività locale e aziendale. Il ponte significa “libertà di scelta”, ovvero civiltà del 2000.