La paranoia giustizialista di Davigo
Piercamillo Davigo, presidente dell’Associazione dei magistrati, ha scrito un libro insieme a Gherardo Colombo e per presentarlo ha concesso un’intervista al Corriere della sera. Tra le altre osservazioni, Davigo ne dedica una alle primarie di partito: “Il problema – dice – è che mentre prima pacificamente si rubava per fare carriera all’interno dei partiti politici, adesso si usano altri sistemi. Al momento non è ancora ben chiaro quali siano, perchè i processi relativi alle elezioni primarie non li abbiamo ancora fatti. Quando li faremo, scopriremo come funzionano”.
Che cosa vuol dire? Sembra di capire che per Davigo le primarie sono non solo, com’è ovvio, una competizione interna ai partiti – e quindi possono essere considerate un modo per “fare carriera” – ma che questo ha a che fare con il “rubare” e che i procedimenti giudiziari serviranno a capire “come”, non a stabilire “se”. Si tratta di una curiosa lettura di un fenomeno politico, che proprio perché tale viene considerato foriero di reati. Insomma, la corruzione non sarebbe una possibile degenerazione dell’attività politica che si realizza in certi casi particolari, ma una caratteristica ineliminabile e indivisibile dalla politica. Si ha la sensazione che Davigo pensi a una magistratura che ha il compito non di perseguire specifici reati di cui la responsabilità è personale, ma di “bonificare” un sistema di per sé produttore di corruzione e malaffare.
Le primarie sono un meccanismo, imperfetto quanto si vuole, ma che ha il pregio di far esprimere i cittadini interessati sulle scelte delle candidature. Considerarle a priori una fonte di corruzione è una forma di giustizialismo preventivo che confina con la paranoia.