Idee pazze, sentimentali e generazionali per votare Sì

Redazione
Le ragioni del perché No sono conosciute e sono chiare e riguardano più il soggetto della riforma (Renzi) che l’oggetto della riforma (la Costituzione). Quelle del perché Sì sono meno evidenti, meno raccontate e per questo più interessanti. Cosa c’entra la generazione dei trenta-quarantenni con la riforma costituzionale? Girotondo fogliante.
Ci sono molte persone che hanno tante ragioni per votare No, e il 4 dicembre hanno buone possibilità di essere in maggioranza nel paese; ma ci sono anche moltissime ragioni per votare Sì, al referendum, e queste ragioni superano, quelle pur legittime, messe in campo da chi dice No.
Abbiamo deciso oggi di raccontare ai lettori, con alcune nostre firme, quali sono le ragioni del sì e lo abbiamo fatto dando a queste ragioni una chiave generazionale. Secondo uno studio accurato pubblicato qualche settimana fa sulla Voce.info, coloro che potrebbero beneficiare di più della riforma costituzionale in termini di maggiore rappresentatività sono due fasce di età: la prima va dai 30 ai 39 anni, la seconda dai 40 ai 49. Abbiamo chiesto ad alcuni collaboratori e amici che rientrano in questa fascia di età di spiegare le loro ragioni, il loro perché. Ne è uscito fuori un girotondo diciamo pure generazionale che vi proponiamo, e volutamente senza righello e senza nessun caschetto umanitario.
Claudio Cerasa

 

 

Votare sì, perché...

 

Ha conosciuto più emergenze democratiche la mia generazione che quella di mio nonno e le riforme possono aspettare, no? No

di Andrea Minuz

 

Svegliarsi la mattina di lunedì 5 dicembre con la vittoria del No e scorrere la timeline di Facebook. Gira già il video con Mentana che annuncia il risultato alle 3.40, mentre tu eri andato a dormire con un lieve vantaggio del Sì, come per la Brexit. Ci sono i post con Benigni che legge la Costituzione (e gli insulti tra i commenti perché ha tradito), le foto di Settis, Zagrebelsky, Dario Fo; c’è il pezzo di Travaglio sul Fatto che si intitola “C’è chi dice No” e una raffica di “Bella Ciao” dei Modena City Ramblers a un concertone del Primo maggio. Chiudere tutto. Rimettersi a letto. Accendere la tv. Dichiarazioni, interviste, prime geografie del voto. Il No ha vinto al sud e tra i pensionati. “Ha pesato l’iniqua distribuzione del reddito, il fossato che ormai divide le generazioni, il meridione abbandonato a se stesso” eccetera. Ma che importa. Abbiamo sventato l’attacco alla democrazia. L’ennesimo. Ha conosciuto più emergenze democratiche la mia generazione che quella di mio nonno e le riforme possono aspettare. [continua]

 


 

Tra svolta autoritaria e trombonismo sono costretto a scegliere la svolta autoritaria. Sperando non produca tromboni

di Claudio Giunta

 

Alla fine voto Sì, ma per ragioni davvero evanescenti, che non penso convincerebbero, a parte me, nessuno. In sostanza vado a simpatia, come fanno i cattivi insegnanti. A fine luglio avevo accumulato sulla scrivania un certo numero di libri e di saggi, “per documentarmi”, poi agosto è scivolato via in tutt’altre faccende, senza quasi che me ne accorgessi, e senza che il buon proposito diventasse qualcosa di più di un buon proposito. Ho solo letto tutto l’ultimo numero della rivista Il Mulino, che ospita interventi pro e contro, e un po’ di altre cose sparse, su riviste e giornali: abbastanza per capire, direi, che l’opzione per il Sì e l’opzione per il No sono entrambe ragionevoli, e che sono ragionevoli anche le obiezioni che i sostenitori del Sì e del No si muovono a vicenda. [continua]

 


 

Un cda di Google o di Facebook può decidere, in due ore, e noi ancora qui ad aspettare il Senato

di Simone Lenzi

 

Ogni mattina mi sveglio e vado a farmi una doccia. Come milioni di viventi dotati di buon senso che la mattina si svegliano e vanno a farsi una doccia. Una, non due. Poi, come loro, mi lavo i denti. Una volta, non due. Questa, per quanto mi riguarda, è tutta la sapienza costituzionale di cui ho bisogno per decidere come votare al referendum. Del resto, se uno ha finito di fare il compitino e gli ci cade la fetta di pane dalla parte della marmellata, non dice “evviva la costituzione più bella del mondo”, dice “porcapaletta, mi tocca rifarlo!”. E lo so che da qualche mese a questa parte, al bar di Via della Costituzione, le discussioni si sprecano, ma, a naso, di tutti gli argomenti pro o contro, questo mi pare il più convincente per mettere una croce sul Sì. Senza pensarci due volte, per me, fare due volte la stessa cosa, nello stesso identico modo, non è democrazia. E’ masochismo. Arrivo a comprendere che il bicameralismo paritario avesse una ratio, all’indomani di vent’anni di regime, come estremo inghippo cautelativo nell’iter di leggi che avrebbero potuto risentire di una qualche nostalgia liberticida. [continua]

 


 

Stacci tu, uomo dei No, con i Salvini e con i grillini, io sto con il non no, col nonno, con il presidente Giorgio Napolitano

di Sofia Silva

 

ome fantasmi o parenti giunti da lontano a reclamare la memoria del sangue, i mendicanti che assiepano le vie e le piazze ci conoscono. Ben pochi sguardi superano l’eloquenza dell’occhiata che si scambiano colui che chiede l’elemosina e chi la dà o rifiuta. Quale strana storia tra il giovane zingaro sdraiato a terra e la ragazza, di poco più giovane, che s’inchina a depositare la moneta nel bicchiere… Quali vivaci pensieri nella testa della signora che, imbastendo una gerarchia della pietà, non sa scegliere a chi dare l’euro e a chi no: “Se è insistente, non gli do un soldo. Se è inerme, glielo do. Se vende collanine, non gli do un soldo. Se non ha nemmeno denaro per comprarsi la merce, glielo do”. Parente prossimo del mendicante, dal vicolo emerge l’ambulante abusivo, che qui chiameremo ambusillante. L’arte del commercio un po’ l’ha imparata, fa il simpatico, ridacchia sbandierando il set d’accendini, il pacchetto di fazzoletti. Laddove il mendicante baratta l’euro con un “grazie”, una preghiera o il suono di una fisarmonica, l’ambusillante appare più moderno con le sue collanine, meno sacro, meno antico. [continua]

 


 

Voterò sì per sconfiggere la santa alleanza degli ingrugniti, in nome di un principio di laicità e di autonomia della politica

di Francesco Cundari

 

Al referendum costituzionale voterò Sì, senza particolari dubbi, ma anche senza particolare entusiasmo, perché considero la domanda contenuta nella scheda – come implicitamente confessato dallo stesso fronte del No con la sua cervellotica polemica sulla formulazione del quesito – addirittura banale. Perché ritengo utile cancellare il bicameralismo paritario e rivedere la pessima riforma del titolo V fatta dal centrosinistra in piena ubriacatura federalista (e non considero particolarmente dannoso ridurre un po’ il numero dei parlamentari o abolire il Cnel). Voterò Sì per la stessa ragione per cui lo avrebbe fatto il 95 per cento degli italiani, se la domanda fosse stata posta loro tre, quattro o quattordici anni fa, e cioè prima che l’ascesa al potere di Matteo Renzi spingesse tanti a rivedere la scala delle loro priorità costituzionali ed esistenziali. Dico 95, e non 100, perché so che esisterà sempre una quota di italiani convinta che l’intelligenza consista nel dare risposte incomprensibili alle domande più semplici, invece che nel contrario. E che dunque, anche di fronte al classico dilemma di Catalano – se preferiscano sposare una donna bella, ricca e intelligente invece che brutta, povera e stupida – sarebbero capaci di votare no, sposarsi la racchia e giurare di essere felicissimi così. [continua]

 


 

Non cambiare la Costituzione significa rinunciare a governare il cambiamento e prendere in mano i destini delle democrazie

di Lorenzo Castellani

 

Nel 2006 avrei votato a favore della riforma costituzionale del governo Berlusconi, ma all’epoca avevo solo diciassette anni e per questo oggi ritengo che il referendum costituzionale promosso dal governo Renzi sia un’opportunità generazionale da cogliere. Senza scomodare Thomas Jefferson, per il quale ogni generazione doveva disegnare la propria Costituzione, basta ripescare i lavori degli anni Ottanta e Novanta di Gianfranco Miglio e del Gruppo di Milano per capire quanto fosse urgente la necessità di aggiornare la Carta fondamentale dopo la caduta del Muro. Nel mondo globalizzato è imperativo decidere rapidamente per rispondere ai cambiamenti repentini degli scenari geopolitici, economici e finanziari. [continua]

 


 

Un paese è competitivo se può contare su processi decisionali rapidi. La riforma è un treno che ripasserà chissà quando

di Annalisa Chirico

 

Il tempo passa, pure Berlusconi & D’Alema invecchiano. Il Cav., superata la boa degli ottanta, veste i panni del “patriarca” tra figli e nipoti, vola negli States e saluti a tutti. D’Alema produce vino umbro, presenzia alle sagre di paese, la barca a vela è un lontano ricordo. Il tempo passa, e non fa sconti. Quando Bettino Craxi lancia sulle colonne dell’Avanti il progetto di “Grande Riforma”, è il 25 settembre 1979. Sono trascorsi quasi quarant’anni da allora. Com’è noto, quel tentativo si rivela “un inutile abbaiare alla luna”. Perché in Italia tutti abbaiano, purché nessuno morda. Io non sono ancora nata, anzi non sono neppure nei piani dei miei genitori, quando nel 1982 va in scena il primissimo tentativo di riformare il ping-pong, tutto italiano, tra le due Camere uguali uguali. Poi un giorno vengo al mondo, sotto il segno del Cancro, e la commissione Bozzi, la seconda, è appena fallita. Da allora, lungo i tre decenni della mia esistenza, ho assistito a una parabola stupefacente, quella del Riformatore incapace di riformare. Che si chiami Berlusconi, Prodi o Zalone, che la commissione la presieda De Mita, Iotti o D’Alema, il risultato non cambia: infinite promesse e zero riforme. Il sipario su “Non è la Rai” è calato da un pezzo, Ambra Angiolini ha mollato Renga, pure i Brangelina rompono l’idillio dell’amore eterno. [continua]

 


 

I trentenni hanno vissuto sulla propria pelle la più grave crisi dell’ultimo secolo e sarebbe un errore non cambiare nulla

di Piercamillo Falasca

 

Thomas Jefferson, uno dei padri costituenti degli Stati Uniti d’America, ebbe a dire che ogni generazione dovrebbe avere il diritto di scriversi la propria Costituzione, o quanto meno di modificarla, adeguando le istituzioni a un tempo diverso da quello in cui le regole furono pensate e forgiate. Se così non fosse, se le costituzioni fossero ferme e immutabili, vivremmo in un’asfissiante tirannia dei morti sui vivi. La classe politica che scrisse la Costituzione Italiana dopo la Seconda guerra mondiale aveva certamente la tempra di chi aveva vissuto i tornanti più terribili e pericolosi della storia, ma non era estranea ai condizionamenti del proprio presente. Non si fidavano gli uni degli altri e disegnarono un modello istituzionale (la seconda parte della Costituzione, quella sull’ordinamento della Repubblica) in cui tutti potessero comandare, ma nessuno decidere. [continua]

 


 

Bisogna avere il coraggio di lasciarsi alle spalle le paure degli anni Quaranta. Questo referendum in fondo è su questo

di Andrea Tavecchio

 

A leggere tutto d’un fiato e da non costituzionalisti l’articolato delle modifiche introdotte dalla riforma su cui voteremo il prossimo 4 dicembre si capisce come alcune ragioni del No abbiano un loro fondamento. Vi sono passaggi che lasciano un po’ perplessi, specie quelli che riguardano l’effettivo e concreto funzionamento del Senato. Nel complesso si ha la sensazione che i cambiamenti che verranno apportati avranno bisogno di rodaggio, anche per i tanti regolamenti parlamentari da emanare, e poi di un buon tagliando. [continua]

 


 

Qualunque disfunzione la riforma possa introdurre non eguaglierà il disastro di una vittoria degli analfabeti istituzionali

di Guido Vitiello

 

Ogni volta che m’imbatto nella coppia Settis-Montanari ripenso a una frase di “Amore e guerra” di Woody Allen: “E c’erano il vecchio Grigorij e suo figlio, il giovane Grigorij. Stranamente il giovane Grigorij era più vecchio del vecchio Grigorij. Nessuno riusciva a capire come fosse andata”. Il duo, con la sua miscela combustibile di estremismo senile e senilismo estremo, sta lanciando gloriosi fuochi d’artificio nei cieli della campagna referendaria – il vecchio Grigorij che scrive una lettera esagitata a Napolitano, rimestando nella broda cospiratoria su JP Morgan come un teenager grillino, e viene da questi pubblicamente sbeffeggiato con signorile, diabolica eleganza; il giovane Grigorij che risponde all’affronto e suona il trombone militare in difesa del vecchio Grigorij, vantandone il prestigioso curriculum e le due lauree ad honorem in Giurisprudenza (abbondandis in abbondandum!). Ma non è in nome della giovinezza che darò il mio voto, è in nome di considerazioni perfino più senili di quelle che ispirano il novantunenne Napolitano. Considerazioni semplici al limite della banalità, prudenti al limite del conservatorismo e sconsolate al limite della rassegnazione. [continua]

 


 

Le leggi toccano quasi ogni aspetto della nostra vita, ogni giorno, e far sì che esse siano chiare interessa tutti noi

di Valentina Tonti

 

La sensazione di sentirsi in un labirinto è quella che ogni cittadino italiano ha provato la prima volta che si è trovato a contatto, per i più diversi motivi, con la legislazione italiana: perché le leggi sono tante, sparse in mille contenitori, piene di rinvii ad altre norme. E quindi sono spesso oscure: perfino per chi, come me, lavora da anni a contatto con le leggi. Ciò significa costi – anche in termini di tempo – per le amministrazioni che devono applicare le norme, per i cittadini e le imprese che devono rispettarle, e più in generale per il sistema economico e per la sua competitività. La riforma costituzionale segna una significativa svolta anche sotto questo punto di vista, andando aincidere sulle principali cause che hanno determinato questa situazione di inflazione normativa e di bassa qualità della legislazione. [continua]

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