Perché sul referendum si gioca anche la partita tra Salvini e il Cav.
Roma. La decisione è presa, certo, si fa propaganda per il No, ma Silvio Berlusconi continua ad arrovellarsi sugli scenari futuri, e per questo, fedele a uno schema ormai antico come la discesa in campo, ha messo giù due squadre, quella del No e quella Nì, Stefano Parisi e Renato Brunetta e Giovanni Toti. E insomma il Cavaliere, come sempre, considera il suo partito come una tastiera di pianoforte, il concerto non sarà armonico, ma alla fine uno dei due spartiti comunque vada riceverà gli applausi del pubblico. E così lui incontra Matteo Salvini, ma anche Sergio Mattarella, mette un piede di qua e uno di là: che succede se vince il No? E cosa se vince il Sì? Ascolta tutti e parla con tutti, il Cavaliere, e adesso Gianni Letta gli ha spiegato che se vincesse il Sì, e non ci fosse un’intesa preventiva, sarebbe poi difficile trattare con Matteo Renzi sulla riforma elettorale. Mentre nel caso vincesse il No, la situazione potrebbe risultare comunque fuori controllo, e Salvini potrebbe intestarsi la vittoria cercando di completare un coup, sopravanzando Forza Italia su tutta la linea, persino annunciando di essere favorevole al mantenimento del premio di maggioranza alla lista (cosa che Berlusconi vede come il fumo negli occhi). Ma c’è di più. La vittoria del No, qualora Renzi dovesse dimettersi e si dovesse comporre un nuovo governo di “alleanza tra pragmatici” (come dice Denis Verdini), potrebbe essere la scintilla di una scissione, dentro FI, e di un divorzio dalla Lega lepenista. A Parisi forse non dispiacerebbe.
E certo la vittoria del No non implica automaticamente le dimissioni di Renzi e la formazione di un nuovo governo, anche se questa rimane al momento un’ipotesi molto probabile, fin qui avvalorata anche dalle parole (sempre ritrattabili, ovviamente) del presidente del Consiglio. Ma se Renzi dovesse mollare Palazzo Chigi, come ben sanno Verdini e Angelino Alfano (ma anche Giorgia Meloni e Salvini), che infatti stanno già preparando il terreno per le mosse future, ciascuno inseguendo un suo diverso orizzonte, allora si verificherebbe lo scenario che da tempo un po’ fantastica Gianni Letta, il quale non a caso, giovedì, ha portato Berlusconi al Quirinale: governo di scopo, con il Pd, e con Forza Italia. Chissà. Tuttavia, in previsione di questa ipotesi ancora certo remota, tutti si organizzano, per quel che gli compete. Alfano e Verdini fanno di conto, e pensano a una federazione di centro, con ciò che resta di Scelta civica. Mentre Parisi, dalla sua nicchia un po’ isolata dentro Forza Italia, e sempre in contatto con Maurizio Lupi, già s’immagina di ricostruire con questa forza di centro nuove geometrie tendenti a escludere, per tono e programma, sia Salvini sia Giorgia Meloni, i quali, a loro volta, si sono già portati avanti nelle pratiche del divorzio. “Se vince il No non ci sarà nessun governo di scopo ma si va subito a votare”, ha detto infatti Meloni in televisione, pochi giorni fa, aggiungendo il carico di una pretesa: “Servono le primarie per decidere il leader del centrodestra. Io mi candiderei. Credo di avere le carte in regola”. E Salvini ha pressoché la stessa idea. La Lega è d’altra parte il partito che rivendica, in trasparente concorrenza, la leadership di quel centrodestra la cui riorganizzazione è stata però affidata da Berlusconi a Parisi, secondo una schema diametralmente opposto a quello di Salvini e Meloni. E insomma si capisce che qualcosa sta succedendo, o succederà a breve, malgrado l’incertezza del risultato del referendum. Anche dentro Forza Italia si fanno chiacchiere agitate, e la parola “scissione” viene maneggiata al telefono con i giornalisti. Che farà Giovanni Toti, se Berlusconi dovesse decidere di entrare al governo con il Pd, chi sceglierà tra il vecchio capo e l’asse del nord da lui stesso battezzato con Salvini? E Daniela Santanchè, che gira l’Italia facendo propaganda per il No, ma non si accosta ai comitati “ambigui”, cioè tiepidi, ovvero quelli dove siede Renato Schifani? Sono solo due esempi, ma non sono certo gli unici. E allora ecco perché Berlusconi gioca contemporaneamente su tutti i campi, allena due squadre. Almeno una delle due dovrà vincere. E poi si vede.