Angelo Panebianco (foto LaPresse)

Sì, senza vellicare l'antipolitica

Redazione
Buone ragioni di Panebianco: è un referendum per la democrazia. Esiste un’antipolitica “vera” (buona) quella dei Reagan e delle Thatcher, che era (è) intesa a contrastare la “politica impicciona” e a favorire uno “Stato minimo”, liberando così i cittadini dagli eccessi di sudditanza e le potenzialità della società civile, del mercato. Però non va di moda.

Ha scritto ieri Luciano Violante sul Corriere della Sera, con una sottolineatura d’enfasi inconsueta nel suo stile, che “il prossimo referendum ricorda piuttosto quello del 1946 sull’alternativa tra Monarchia e Repubblica”. Perché “anche lì si decideva l’Italia del futuro”. Non si tratta però di una forzatura, e non solo per la posta in gioco, ma anche perché, come ben spiega Violante, dalla parte dei fautori del No c’è tuttora molta confusione sul valore istituzionale della consultazione. C’è poi, a ben guardare, anche una grande confusione nella consapevolezza politica di ciò che si muove e si discute attorno alla riforma costituzionale. Di questo si è invece occupato, sempre ieri sul Corriere, Angelo Panebianco in un editoriale “sistemico”. Nel quale affronta “la cattiva coscienza della politica” nel suo tentativo “di rintuzzare la sfida dell’antipolitica”. Panebianco spiega con chiarezza che esiste un’antipolitica “vera” (buona) quella dei Reagan e delle Thatcher, che era (è) intesa a contrastare la “politica impicciona” e a favorire uno “Stato minimo”, liberando così i cittadini dagli eccessi di sudditanza e le potenzialità della società civile, del mercato. Ma questa politica non va di moda oggi, commenta. Poi esiste un’antipolitica “finta”, che va per la maggiore, che si riduce alla delegittimazione del ceto politico per via moralistica, che pretende che “la cuoca di Lenin” sia davvero in grado di governare ma che alla fine vuole, statalisticamente, che la politica continui a occupare il posto, abnorme, che occupa.

 

Panebianco non si schiera, nell’editoriale, per il Sì o per il No, ma è evidente che ritenga il tentativo di riforma istituzionale utile alla democrazia – in quanto tale – per arginare le derive antipolitiche e antidemocratiche. Ma pone anche a tutti e due i fronti, quello più confuso (vedi Violante) del No il caveat di non affrontare l’antipolitica cavalcando i suoi stessi mezzi e temi. Lo pone soprattutto al fronte del Sì. Insistere nella campagna referendaria sul fatto che la riforma è buona perché chiude o quasi il Senato, o taglia i costi della politica finisce per dare ragione al populismo, vendendo la merce avariata della “cuoca di Lenin” al comando. I veri contenuti su cui insistere, seppure più ostici, sono il superamento del bicameralismo perfetto e l’indebolimento dei troppi poteri di veto. Ciò che serve davvero alla politica, al paese.