Dio benedica le primarie
Dall’America alla Francia. Sul suicidio di un centrodestra proporzionalista
L’esempio del centrodestra francese che in un paio di settimane è in grado di definire il suo candidato all’Eliseo è destinato a suscitare, giustamente, invidia nei sostenitori italiani. Se anche nella attuale condizione è impensabile che il centrodestra italiano possa superare le sue contraddizioni e divisioni politiche adottando un meccanismo di indicazione unitaria del candidato alla guida del governo, è comunque inevitabile che si passi per questa strada obbligata quando si sia creata una comune convinzione dell’esigenza di unità come condizione preliminare per costruire una proposta competitiva. Paradossalmente, l’unico punto su cui il centrodestra di opposizione è unito, il rifiuto della riforma costituzionale sottoposta a referendum, provocherebbe una situazione di stallo nella quale, in assenza di impossibili maggioranze omogenee in ambedue le Camere, si andrebbe verso confusi patteggiamenti in cui le diverse formazioni del centrodestra finirebbero per dividersi tra quelle che accettano un ruolo subalterno e quelle che assumono un’ininfluente posizione di rifiuto. Se invece ci sarà una sola Camera titolata a conferire la fiducia, l’assunzione dei ruoli di governo e di opposizione sarà più chiara, e ne consegue che la scelta di una candidatura alla guida del governo diventa un passaggio indispensabile e impegnativo per tutte le principali aree politiche. A quel punto chi vuole candidarsi deve dimostrare di essere in grado di unificare le diverse correnti culturali e politiche più dei concorrenti. E’ questa, in sostanza, la lezione che viene dall’esperienza francese e, in un certo senso, anche da quella americana, che ha comunque rispettato le regole dalla competizione interna, nonostante questo abbia prodotto un mutamento radicale delle gerarchie precedenti.