Passeggiate romane
I quattro nomi da cui dipende il futuro di Renzi
La scelta del successore dell’ex premier appesa a quattro uomini chiave nel Pd: Delrio, Franceschini, Orfini, Padoan
Incredibile ma vero, i più preoccupati dalle dimissioni annunciate da Matteo Renzi sono le forze di sinistra che lo hanno combattuto al referendum. Adesso la minoranza del Partito democratico e gli esponenti di Sel si interrogano sul futuro prossimo: mica se ne andrà prima che passi la legge di Bilancio? Perciò non c’è solo Sergio Mattarella che gli ha chiesto di rimanere, ma anche i suoi avversari lo spingono a restare almeno un altro po’.
E nel frattempo tutti si interrogano sul nome del prossimo presidente del Consiglio. Il più accreditato è Pier Carlo Padoan. Ma c’è chi scommette sul fatto che Matteo Renzi alla fine possa fare a sorpresa un altro nome. O che, comunque, non indichi un successore a Sergio Mattarella il quale si aspetta da Renzi un nome, perché sa bene che per garantire uno svolgimento regolare della legislatura bisogna per forza passare dal presidente del Consiglio dimissionario.
Intanto dentro il Partito democratico si discute, e ci si divide, sul futuro del leader. Nella maggioranza che lo sostiene c’è chi ritiene che debba restare segretario. Lui, ieri sera, ai fedelissimi aveva confermato quello che aveva già preannunciato loro quando, qualche giorno fa, aveva compreso che la rimonta era impossibile: devo presentarmi dimissionario perché questo mi darà più forza non solo nel partito ma anche all’esterno, visto che la nostra avventura politica non è finita (ma nelle ultime ore l’ex premier ha cambiato ancora una volta idea). Ma una fetta della maggioranza interna ha paura di questa mossa. Ne teme le conseguenze e ritiene che senza la leadership del Pd in mano Renzi sia più debole. È questa una delle ragioni per cui la direzione del Pd, che inizialmente era stata indetta per oggi, è stata rinviata a mercoledì prossimo.
Come sempre accade in caso di sconfitta, si fanno i conti anche nel cerchio più ristretto del leader. Graziano Delrio, i cui rapporti con Renzi si erano andati via via deteriorando, sta prendendo le distanze dal leader. Il ministro delle Infrastrutture può contare su un gruppo di fedelissimi. Un piccolo gruppo ma è quanto basta a rendere più complicata la vita a Renzi. Come? Impedendogli di fare una battaglia incisiva in Parlamento nei confronti di qualsiasi governo e di qualsiasi legge, che è esattamente quello che il premier vuole fare per tornare in sella in un prossimo futuro. Per raggiungere questo obiettivo, infatti, il presidente del Consiglio hai bisogno di avere almeno una cinquantina di parlamentari alla Camera e una decina al senato. Se alcuni si sottrarranno per Renzi sarà impossibile mettere in pratica il suo progetto.
Anche i “giovani turchi” sono piuttosto tiepidi in questo senso: non hanno ancora deciso se assecondare Renzi e il suo piano di rilancio o se cambiare pagina. Chi invece in questo momento non ha nessuna intenzione di muoversi è Dario Franceschini. Sul suo capo pende l’accusa di aver tradito prima Walter Veltroni e poi Enrico Letta e il ministro uscente dei Beni culturali non vuole passare per un traditore seriale. Comunque il traguardo finale del presidente del Consiglio, qualsiasi piega prendano gli eventi restalo stesso: ricandidarsi alla leadership di un Pd trasformato alle prossime elezioni politiche.