Cassese: il vuoto di politica e di regole in cui è naufragato Renzi
Il giudice emerito della Corte Costituzionale e la scissione Pd: "Le fazioni sono divise dal nulla programmatico, solo dal bisogno di individuarsi per separarsi"
Professor Cassese, come giudica quel che sta accadendo nel Partito democratico?
Assisto attònito a questo fragore di guerra, nel vuoto della politica, dei politici e delle regole. Le fazioni sono divise dal nulla programmatico, solo dal bisogno di individuarsi per separarsi. Qualche tempo fa, un gruppo di sociologi ha osservato che in Italia “la politica oscura le politiche”. Qui, ora, la politica è essa stessa oscurata dagli umori e dai rancori. E’ l’apoteosi della non-politica.
Perché dice che mancano i politici?
Senta quel che scriveva Max Weber, un secolo fa, nel 1918: “La capacità decisiva del politico è di lasciar operare su di sé la calma del raccoglimento interiore, quindi la distanza verso cose e uomini. La mancanza di distanza è uno dei peccati capitali del politico”. E aggiungeva che la politica va fatta con la testa. Lei vede oggi da qualche parte fredda valutazione, capacità di diagnosi, attenzione per il mondo esterno, progetti, una visione del futuro?
Perché tira in ballo anche le regole?
Perché dal dibattito emerge anche che nel partito tutto è allo stato fluido, malleabile. Non dovrebbero essere stabilite e rispettate norme statutarie? Chi convoca gli organi, quando si fanno i congressi, come si eleggono i dirigenti, come si scelgono i candidati, come si risolvono le controversie interne? Se tutto questo è contrattabile continuamente, si lascia aperta la porta al negoziato, alla contrattazione, alla guerra continua. La mancanza di regole è un’altra grande sconfitta della democrazia italiana. Le due grandi organizzazioni sociali, sindacati e partiti, hanno rifiutato di essere disciplinati da leggi dello Stato, imposte per i primi e richieste per i secondi dalla Costituzione (e questa assenza ha consentito la creazione del movimento grillino). Ma non si sono neppure date autonomamente regole che garantissero democrazia e rispetto delle procedure.
I secessionisti dànno la colpa a Renzi.
Non sono in grado di giudicare la sua qualità di segretario di un partito. Posso giudicare la sua azione nella sfera pubblica, come titolare di cariche statali. Qui ha fatto di tutto per dimostrare quanto è stato scritto di lui qualche tempo fa, che è abile come uomo di governo, non come uomo di Stato.
Che cosa glielo fa dire?
Le tre forzature costituzionali che ha fatto. Nell’intervista al Corriere della Sera del 17 febbraio scorso ha dichiarato: “Ho perso un referendum che doveva essere tecnico e si è trasformato in politico”. Singolare affermazione, fatta da colui che ha trasformato il referendum in plebiscito. Renzi era solo il proponente (meglio: l’iniziatore) della riforma costituzionale. Questa è stata modificata e approvata dalla maggioranza parlamentare, mostrandosi per quello che era: un atto del Parlamento. Malgrado ciò, Renzi ha continuato, sbagliando, a intestarsi la riforma, tra l’altro, diversa da quella che aveva proposto. Così, quando la minoranza parlamentare soccombente si è appellata al popolo, come consentito dalla Costituzione, Renzi, presentandola come la sua riforma e facendo diventare il referendum un plebiscito per la sua persona, ha provocato l’esito negativo, tradendo la fiducia di chi voleva un voto per la riforma, non un voto per Renzi. E, nello stesso tempo, ha fatto male a se medesimo, perché si è visto costretto a dimettersi.
E la seconda forzatura?
Proprio le dimissioni, date (o annunciate) in televisione direttamente al popolo, dando una curvatura presidenzialistica a un sistema politico parlamentare. Il presidente della Repubblica avrebbe potuto dargli una lezione di diritto costituzionale, spiegargli che le dimissioni vanno presentate al capo dello Stato, e che il voto popolare aveva bocciato il Parlamento, non il capo del governo. Questi non aveva perso la sua maggioranza (tanto è vero che il successivo governo è stato la fotocopia del governo Renzi).
Passiamo alla terza.
La richiesta continua di elezioni. Queste richiedono lo scioglimento, prerogativa presidenziale. E le Camere vanno sciolte quando non possono funzionare, o dare al paese un governo. Per cui il presidente della Repubblica ben potrebbe prendere atto della richiesta, svolgere consultazioni, rinnovare l’incarico allo stesso governo, o cercare una diversa maggioranza, nonostante l’insistente richiesta renziana di elezioni.
Ma lei si è espresso in passato dando giudizi positivi su Renzi.
E li confermo. E’ stato una forza nuova, inattuale, trasgressiva. E’ riuscito a recuperare argomenti populistici mettendoli al servizio di una politica riformatrice (anche se alla fine ha esagerato, contraddicendosi). Ha riportato per tre anni unità in un partito-coalizione. Ha dato impulso alla politica. Ha avviato molte politiche importanti. Insomma, è stato un buon uomo di governo, nonostante qualche errore, specialmente nella macchina dello stato, rispetto alla quale era o disattento o insofferente. Ma essere un bravo tattico non vuol dire anche essere un buono stratega.
Alla fine, sembra anche essersi rotto il legame tra Renzi e l’elettorato. Con il passaggio dal 40 per cento alle Europee al 30 per cento delle elezioni locali e con le attuali difficoltà interne al proprio partito. Insomma, c’è una sorta di rifiuto della base.
Qui ci sono errori evidenti. Aver presentato il paese in chiave ottimistica, mentre ciò non corrispondeva né alle condizioni reali, né al sentimento diffuso. Aver espresso sempre grande fiducia nelle urne (elettorali), che possono facilmente trasformarsi in altre urne… Aver sempre orgogliosamente presentato leggi approvate, mentre i cittadini vorrebbero che quelle leggi fossero attuate e realizzate. Un eccesso di presenze, un modo di fare precipitoso, una certa incapacità di fermarsi ad ascoltare. Sarà il caso di regalare a Renzi una copia di quella bella lezione di Max Weber, intitolata “La politica come professione”?
Insomma, secondo lei Renzi ha fatto anche errori di valutazione, per così dire psicologici?
Non lo so, ma ricordo quel che scriveva Robert Musil ne “L’uomo senza qualità”: “I sentimenti sono importanti quanto il diritto costituzionale e i decreti non sono la cosa più seria del mondo”.